Di Rose Scarlatte e Rovi di Spine

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  1. Gormenghast
     
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    Nel relativo silenzio del modesto appartamento, in cui i suoni del traffico della strada non sono che un costante e sordo sottofondo che si mescola al tepore prodotto dai radiatori, per Ruari è facile lasciar scivolare la propria coscienza in un altro stato. Con un sorriso, la giovane sfiora con un lieve tocco la fronte dell'uomo che le è seduto accanto, facendo lo stesso alla propria con l'altra mano. Nel suo intimo, quel piccolo gesto è come un filo rosso che la fatata si trova a seguire dopo aver chiuso gli occhi ed essere sprofondata nell'oblio dei sensi.

    Nell'ampio salone, lungo e rettangolare, un'intera parete è composta da larghi ed alti finestroni, davanti a cui ariose tende di lino bianco si gonfiano per il vento come le vele di una nave. Robuste colonne sorreggono il soffitto e dividono lo stanzone in tre corridoi; Ruari, che si trova nel mezzo di quello centrale, non può che notare le file di letti disposti a distanze regolari nei corridoi laterali.

    Su ogni giaciglio è steso un lenzuolo bianco, sotto cui è nascosta una forma umana. Solo i piedi degli occupanti dei letti sono scoperti, ed ognuno mostra piante più o meno callose, unghie curate o rovinate, carnagioni chiare, olivastre e nere; ciò che tuttavia assimila ciascuna di quelle coppie di piedi è che ognuna reca un medesimo cartellino bianco appeso ad un alluce, mosso dalla brezza che penetra dai finestroni aperti. Per quanto non vi sia nessuno in quella che sembra sempre più una caserma militare trasformata in camera ardente, alla fatata sembra che gli occupanti dei letti si muovano con rapidi scatti sotto i lenzuoli, non appena allontana lo sguardo.

    Incuriosita e per nulla intimorita da quello che il suo corpo onirico sa essere il sogno dell'uomo addormentato accanto a sé, Ruari si avvicina ad uno dei letti e osserva la sagoma del corpo celato dal lenzuolo. La sua candida mano ricoperta da efelidi si allunga verso il bordo del telo e lo rimuove con un rapido gesto, accompagnato dal rombo di motori di un grosso aereo in passaggio a bassa quota proveniente dall'esterno. Nel letto è coricato un enorme pezzo degli scacchi in marmo nero. La forma - una semplice sfera che sormonta un corpo cilindrico - è quella di un pedone; la superficie nera e lucida appare liscia, a parte un foro presente sulla parte laterale del corpo. Attorno al buco è presente una patina marrone scuro, come se qualche fluido sia fuoriuscito da quel buco e si sia seccato colandone fuori.

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    Una melodia dolce, intonata da una voce femminile, distoglie l'attenzione di Ruari dall'oggetto della sua indagine e la sospinge a muoversi verso l'unica porta presente nella parete corta della caserma. I rumori di motori pesanti e qualche lontano grido disarticolato si sono intanto fatti più udibili al di là delle finestre, soppressi di volta in volta dal potente rombo di motori di aerei in sorvolo; nonostante il crescente frastuono, la nenia è sempre udibile e conduce con sicurezza la Changeling. La porta si apre su una radura verdeggiante e rigogliosa, in cui alberi carichi di foglie da una parte e lenzuola bianche stese ad asciugare dall'altra nascondono l'orizzonte alla vista.

    Il sole brilla forte e luminoso sulle figure che si trovano là in mezzo: due uomini, con indosso riconoscibili divise militari, sono seduti presso un piccolo tavolino; presso uno dei due - il più concentrato, a quanto dice la sua posa leggermente piegata in avanti e il mento nella mano - attende in piedi una donna dai vaporosi capelli biondi e dal corpo giovane, con indosso un abito a fiori in stile anni '50. E' da costei che proviene il canto, mentre mantiene una mano esile poggiata alla spalla dell'uomo vicino a sé.

    Avvicinandosi, Ruari può osservare che sul tavolino sia presente una scacchiera e che, dalla disposizione dei pezzi, sia in corso una partita. Nell'osservare i presenti, Ruari riconosce quasi immediatamente nel giocatore concentrato il signor McLoughlin, nonostante il suo volto sia quello giovane di un trentenne e i suoi occhi paiano decisamente più profondi e vitali; la donna vicino a lui le sorride e continua a intonare la sua dolce melodia senza parole, ponendosi l'indice sulle labbra.

    Dall'altra parte del tavolo è seduto l'altro militare che, pur non riconoscendolo, instilla un senso di leggera inquietudine e smarrimento nell'Alba. Il suo volto è pallido e scavato, come se fosse uscito da poco da una lunga ed estenuante malattia. La pelle è leggermente lucida e tirata sulle ossa e sui muscoli del viso; leggere occhiaie non fanno che donare ancor più profondità alle sue iridi nere. Sulla divisa sono presenti tre fori, attorno ai quali si dipinge un irregolare fiore rosso. A Ruari sembrano davvero tanto dei fori di proiettile.


    "Che ci fai qui, ragazza? Ah, non importa...prepareresti del the per questi due vecchi lupi e per la mia Mary, gentilmente?"

    Sono parole di McLoughin che, accortosi della nuova arrivata, le si rivolge con il solito tono perentorio ma con voce più giovanile e attraente. Un sorrisetto simpatico si dipinge sulle sue labbra fini, seguito da una strizzatina d'occhio in direzione della fatata dai capelli rossi.

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    Kelly ascolta le parole di Amber abbassando di tanto in tanto lo sguardo, forse per rispetto alle confessioni che provengono con così tanta facilità dalla bocca della fatata. I suoi occhi schizzano rapidi sulla sua mano solo quando Amber tenta un seppur lieve approcio fisico e, pur se scossa da un tremito, la ragazza finisce per non sottrarsi al tocco della Donna delle Rose.

    Una volta che questa ha concluso con le sue parole passano alcuni secondi, in cui Kelly pare voler mettere in ordine i pensieri. La sua voce è calma ed espressa con un tono piuttosto basso, udibile solo dalla sua vicina interlocutrice:

    "Anche a me fa molto piacere conoscerti, ma tutto quello che mi hai detto mi lascia un po' spiazzata. Non so nemmeno come ti chiami, eppure mi hai già detto di te cose che solitamente si tengono per sé stessi il più delle volte. Io...ecco...non so che dire, ma vorrei che, in qualunque modo si vada avanti, ci fosse il tempo di pensare. Come ti ho detto, ho avuto dei trascorsi che mi hanno portata ad essere così, e l'idea di agire di impulso mi spaventa. In più...c'è in ballo qualcosa che non conosco e che non so se fa per me oppure no, quindi avrei bisogno di tempo...nel caso in cui finissimo per pranzare ancora insieme".

    Un sorriso leggermente imbarazzato si dipinge sul suo volto, nonostante sia coperto da uno più ampio ma meno espressivo nel momento in cui vengono portati due caffè in grosse tazze. Scaldandosi le mani attorno alla propria, Kelly prosegue:

    "Per stasera ero già in parola con due mie vecchie amiche, però non c'è un vero programma della serata...se la cosa non ti dispiace potrei cercare di convincerle e magari ci vediamo là. Il mio numero lo hai e io ho il tuo, anche se l'ho salvato sotto "poetessa" - su suo volto il solito, dolcissimo sorriso- "possiamo trovarci, se ti va..."
     
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