"The first run"

Un racconto di SC

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    Mentre mi sistemavo sul sedile di grigio-oliva e mi assicuravo l’imbracatura in acciaio-plastica flessibile intorno al petto, le ultime parole di mio padre mi risuonarono nella testa, le ultime parole dette mentre lasciavo il Golden Horde, il suo bar.

    "Nessuno si è mai fatto una vita nello spazio senza pentirsene. Sono tutti guerrafondai e ladri lassù. Nessuno che valga la pena conoscere. Così, quando avrai fatto il pieno di avventure, torna di corsa a casa. Terrò in caldo il tuo posto dietro il bancone del bar per il giorno nel quale metterai un po’ di senno in quella tua zucca di pietra, Sorri."
     
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    Parte 1

    Mentre mi sistemavo sul sedile di grigio-oliva e mi assicuravo l’imbracatura in acciaio-plastica flessibile intorno al petto, le ultime parole di mio padre mi risuonarono nella testa, le ultime parole dette mentre lasciavo il Golden Horde, il suo bar.

    "Nessuno si è mai fatto una vita nello spazio senza pentirsene. Sono tutti guerrafondai e ladri lassù. Nessuno che valga la pena conoscere. Così, quando avrai fatto il pieno di avventure, torna di corsa a casa. Terrò in caldo il tuo posto dietro il bancone del bar per il giorno nel quale metterai un po’ di senno in quella tua zucca di pietra, Sorri. "
    Anche mentre cercavo di fissare l’imbracatura in modo che aderisse strettamente, c’era posto per due di me al suo interno, potevo ancora sentire il tono di voce di mio padre, il modo in cui pronunciava la parola avventura. Sembrava avesse appena assaggiato un pezzetto di torta di mele scoprendo che era andata a male.

    Aspettando l'ultimo passeggero, rabbrividii e mi strofinai le braccia cercando di riscaldarmi. Tenevano la nave fredda come l'armadietto della birra nel bar di mio padre.
    Mi ero messa il mio maglione di lana preferito, quello regalatomi dallo zio Cab, ma anche questo non era sufficiente a fermare freddo che mi penetrava nelle ossa. Il maglione era del colore dei tramonti, qualcosa che sapevo mi sarebbe mancata in viaggio attraverso l'oscurità dello spazio come corriere per la Courier Service FTL.

    Speravo che questo ultimo passeggero valesse la pena dell’attesa.

    Ma neanche il freddo, l’eco della voce di mio padre o l’attesa per l'ultimo passeggero non smorzavano il mio entusiasmo.

    Finalmente ero nello spazio!

    Dopo tutto il litigare con mio padre, l’aver speso le mie mance fino all’ultimo spicciolo, i test di ingresso ed duro periodo di formazione presso l'ufficio FTL qui a Castra II, finalmente ce l’avevo fatta.

    Strofinai la punta delle dita lungo la fessura che separava due piastre nella parete liscia. La Jammer Solar, un Caterpillar modificato e convertito in trasporto commerciale, non era certamente elegante come una Idris, ma come un primo bacio, non era l'aspetto che contava, ma l'esperienza stessa.

    Cominciai a sistemarmi nel mio posto, quando un pensiero mi tornò alla mente. Avevo dimenticato che volevo registrare tutto quello che potevo del mio primo viaggio, così avrei potuto inviare un video a mio padre facendogli sapere che non tutti erano ladri e che trovarsi in mezzo ad una battaglia spaziale non era semplice come entrare in un negozio.

    Agganciai la fotocamera remotizzata sulle cinghie dello zaino e controllai il MobiGlas personale per verificare che stava registrando. Terminata la verifica lo spinsi di nuovo in fondo allo zaino. La Courier Service FTL non gradiva l’utilizzo di dispositivi personali durante il servizio, ma non permetteva di eseguire software personale sull’hardware di loro proprietà. Immaginavo che l’utilizzo del mio MobiGlas per le riprese fosse un compromesso accettabile.

    Stavo controllando il MobiGlas aziendale per vedere se fossero presenti nuovi messaggi quando arrivò l'ultimo passeggero.

    Si chinò sotto il portaoggetti e mi rivolse un sorriso ambiguo.

    Era un bell’uomo, ma non il tipo che si vede sulle holovids. Aveva una cicatrice sul labbro che rendeva la sua espressione metà sorrisetto metà ghigno.

    A giudicare dal suo aspetto e dal suo abbigliamento professionale, immaginai che fosse un venditore. Odio i venditori. Venivano sempre al bar con un atteggiamento di superiorità, come se il posto fosse di loro proprietà. Come se fossero migliori di noi. Probabilmente era anche un Citizen.

    Meglio così, decisi. L’azienda non vedeva di buon occhio il conversare durante il servizio. Non faceva una buona impressione sui potenziali clienti e creava rischi per la sicurezza.
    Così tornai a controllare il mio MobiGlas, confermando la mia partenza e il transito una volta arrivata ad Oya. Avevo a disposizione sette giorni per portare i file presenti sul MobiGlas alla WillsOp Corporation il che era un sacco di tempo, ma volevo completare il lavoro in un terzo del tempo necessario in modo da lasciare una buona impressione al mio datore di lavoro.

    Poi il co-pilota portò un contenitore per il trasporto di animali verso il signore di fronte a me e lo assicurò al sedile.

    Grandi occhi marroni cerchiati d'oro guardavano fuori dalla gabbia.

    Le parole uscirono dalla mia bocca prima di rendermi conto che non erano affari miei. "È una lince dalla coda rossa?"

    Il passeggero aveva completato la regolazione della sua imbracatura mentre facevo la domanda. Alzò lo sguardo, un sopracciglio inarcato.

    Beh, pensai tra me e me, mio padre mi ha sempre detto che non riuscivo mai a tenere la bocca chiusa.

    "Ne avevo una quando ero una ragazzina. Non avrei mai fatto una foto senza Sasha" gli dissi.

    "Sasha?" Chiese con una voce melodiosa. "Suppongo che sia il nome della tua lince?"

    Annuii con una scrollata di spalle.

    "Allevatore?" Chiesi.

    Lui mi guardò dritto negli occhi. Grigi con macchie di verde. Occhi che avevano visto molte cose.

    "Perché non dovrebbe essere il mio animale domestico?" Chiese, increspando la pelle intorno agli angoli della bocca.

    "Mio padre ha un bar a nord su Castra II. Ho incontrato tutti i tipi di persone, tutti i tipi, e lei non mi sembra il tipo da avere una lince dalla coda rossa. Sono troppo attive e hanno bisogno di spazio."

    Come se capisse che si stava parlando di lei, la lince spinse il suo volto peloso contro i fili della gabbia.

    Volevo avvicinarmi e carezzare i piccoli ciuffi grigiastri di peli che spuntavano dalle sue orecchie, ma il capitano annunciò che saremmo partiti a breve dalla stazione verso il Jump Point.

    “Non ha risposto alla mia domanda” dissi.

    L'uomo fece una breve risata incredula. "E’ audace. Sa, in genere le persone si presentano prima di iniziare gli interrogatori. Sono Dario Oberon".

    Il Solar Jammer sussultò mentre lasciava la stazione e sentii il passaggio alla gravità artificiale della nave.

    "Mai stata appassionata di nomi. Forse ho speso troppo tempo come topo di bar. La metà dei clienti non hanno mai dato il loro vero nome e l'altra metà non meritavano loro. Sono Sorri Lyrax, se è importante."

    Continuava a sorridere.

    "Sorri? Nome ricevuto o guadagnato? "Chiese, con un luccichio negli occhi.

    "Entrambi" dissi, con una mezza alzata di spalle. "E la risposta?"

    Il Solar Jammer virò e si diresse verso il punto di salto, premendo me nel sedile e Dario contro l’imbracatura.

    "Un dono".

    Lui strizzò l'occhio.

    "Non per un amica", riflettei. "Una attività commerciale? Qualcosa per ungere gli ingranaggi, direi. "

    Dario si sporse in avanti, aggrottò la fronte e strinse le labbra pensieroso. “E perché diresti questo, Sorri Lyrax?"

    "Gli animali domestici sono regali terribili per un’amica, e lei sembra troppo intelligente per un simile errore da novellino. Per quanto riguarda l’attività commerciale, ho visto il modo in cui ha stretto la mano del co-pilota quando ha portato la lince. Ho visto quel sorriso e stretta di mano un milione di volte. La mia prima ipotesi era che lei fossi un venditore, ma la fiducia che traspare è reale, non è indossata come una seconda pelle."

    Fece un cenno del capo inclinato. "Tutto questo in pochi minuti?"

    "Crescere come ho fatto io è come ottenere una laurea in comportamento umano. Se ti prendi la briga di fare attenzione" dissi.

    Una parte di me mi urlava dentro di tenere la bocca chiusa, ma mi piaceva impressionare Dario. Mio padre mi ha sempre lasciato in disparte dando spazio ai clienti. Era bello stare davanti al bancone per una volta.

    "E scommetterei che, dato che viaggia senza bagaglio, si occupa di proprietà intellettuale" dissi. "Probabilmente qualcosa di redditizio come disegni di navi o qualcosa di simile."

    Quando il luccichio nei suoi occhi grigio-verdi si trasformò, freddo e duro come lo spazio profondo, capii che avevo detto troppo, ma il gelo scomparve veloce come era apparso. Il sorriso furbo riprese il posto apparentemente familiare sulle sue labbra.

    Dario sorrise mostrando i denti. "Ora che siamo a velocità di crociera, le piacerebbe accarezzare la lince? E’ molto docile."

    “Mi piacerebbe molto” dissi, notando che aveva cambiato argomento, ma ho subito mi ricordai che ero in viaggio per lavoro e gli intrighi erano l'ultima cosa nella quale essere coinvolta.

    Dario mi passò la lince attento a non liberare la creatura. La lince avvolse la sua coda rossa intorno al mio braccio e posò il muso sulla mia spalla. Avrei avuto pelliccia di lince su tutto il maglione di lana prima del nostro arrivo, ma non mi importava.

    In poco tempo, con il corpo caldo della lince sulle ginocchia e la morbida pelliccia tra le dita, mi addormentai mentre l'emozione di iniziare il viaggio sbiadiva.

    Quando mi svegliai, Dario stava tirando su la lince dalle mie braccia. Fuori dalla Solar Jammer il pianeta arancione e blu di Oya III era in vista. Un enorme tempesta ciclonica di sabbia era visibile vorticosa attraverso la Grande Desolazione del continente settentrionale. Si diceva che la tempesta imperversava dagli ultimi tre decenni. Per fortuna sarei atterrata nella zona verde dell'emisfero sud, nella città metropolitana di New Alessandria.

    All’arrivo Dario era occupato con il suo MobiGlas , quindi non lo volli disturbare. Dovetti confermare la mia discesa lungo il pozzo gravitazionale di Oya III fino al pianeta. Avevo ottenuto un passaggio come passeggero in lista di attesa, ma dovevo fare in fretta se volevo raggiungere la navetta prima che partisse. Viaggiare in classe super economica non dava alcuna garanzia.

    Uscita dalla Solar Jammer notai che Dario era andato avanti, la cosa mi rese un po’ triste, perché date le dimensioni della UEE, probabilmente non lo avrei rivisto più.

    L'odore di antisettico e le luminose piastrelle incolori del gate doganale aggredirono i miei sensi intorpiditi. Avvicinandomi al funzionario della sicurezza in uniforme grigioverde, regolai le cinghie dello zaino mentre tiravo fuori i documenti tra cui il tesserino di Corriere FTL e mi preparai a consegnarli.

    Superato un dispositivo di scansione che emanava un ronzio acuto che riuscivo a malapena a sentire come una vibrazione sulla parte posteriore dei miei denti, porsi i documenti alla guardia dalle spalle larghe che aveva un'espressione apparentemente annoiata.

    Il suo MobiGlas inviò un segnale acustico e luminoso, la sua espressione passò dalla noia al fastidio e successivamente all’ostilità. Prima che potessi fare altro, lui allungò una mano e mi afferrò per il braccio, stringendo abbastanza forte da lasciarmi un livido.

    "Questo è un allarme di violazione della sicurezza", disse, la sua espressione irata fermamente rivolta a me. "Lei viene con me."


    Continua.
     
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    Parte 2

    La parte peggiore del fatto di rimanere confinata in una cella di detenzione non era l'interrogatorio, ma l'attesa.

    Non che io fossi una criminale incallita, solo qualche ragazzata frequentando gente sbagliata per un breve periodo di tempo pochi anni fa. Corse con i veicoli a cuscino d’aria attraverso un bazar, ricoprire i corrimano di un casinò con un lieve allucinogeno a contatto, liberare un piccolo branco di lama che sputano ad una convention dell’Advocacy, quel genere di cose.

    Questa è stata probabilmente una delle ragioni per cui mio padre aveva ceduto e mi aveva permesso di entrare nel servizio di corriere. Diceva che avevo energie da impegnare in qualcosa di costruttivo, o forse anche un po' di rabbia per la morte di mia madre.

    Sbagliava in entrambi i casi. Semplice noia, questa era la causa principale. Questo, e il rendermi conto, un giorno in cui ero seduta in una cella proprio come questa a causa di uno dei nostri scherzi meschini, che stare in carcere e lavorare nel bar di famiglia era quasi la stessa cosa.

    Almeno nel bar potevo passare il tempo a studiare gli avventori.

    La cella di detenzione era quanto di più anonimo potesse esistere, vuota come lo spazio profondo. Al suo interno una misera sedia costituiva tutto l’arredamento. Volevano ammorbidirmi, rendendomi così annoiata da essere disposta a confidare loro qualunque segreto. Il fatto che questo metodo potesse funzionare su alcuni criminali metteva alla prova la mia mente. Come potevano essere così stupidi?

    Ma non avevo nulla di cui preoccuparmi, non avevo fatto nulla di male. Desideravo solamente che qualcuno venisse per poterlo fare presente.

    Dopo circa tre ore, una donna entrò nella cella. Era anziana, pelle abbronzata e linee severe intorno agli occhi e alla bocca. Era stata bella una volta, ma ora quell’aspetto era stato soppresso dalla dedizione al dovere e all’uniforme della sicurezza perfettamente in ordine. Nemmeno uno dei suoi capelli scuri dal taglio militare del era fuori posto.

    “Sorri Lyrax?”

    Risposi con un cenno del capo stringendo le labbra.

    "Sono il capitano Hennessy. Sono la responsabile di questa struttura. Mi dispiace per l'attesa, ma ero giù sul pianeta" disse.

    Il fastidio di essere stata interrotta durante il riposo era palese sul suo viso. L’avevano disturbata mentre era fuori servizio.

    "Mi dispiace per il disturbo” dissi, lo intendevo davvero. “Ma può dirmi perché vengo trattenuta? Nessuno mi ha detto nulla, e anche se ho ancora un sacco di tempo per fare la mia consegna come corriere, posso ottenere un bonus per la velocità. Quando avete bisogno di recapitare un messaggio, non c'è niente di più veloce di FTL!"

    Recitai l'ultima parte, il motto aziendale, con voce cantilenante, il che le fece abbozzare un accenno di sorriso all'angolo delle labbra. Scomparve però con la stessa velocità con la quale era comparso.

    "Un corriere, eh? Nessuno me lo ha riportato" disse lei accigliata. Rimase lì per un attimo, le braccia incrociate, mordendosi il labbro inferiore, pensando.

    "Nulla ostacola le attività come la burocrazia" buttai lì.

    Si mise le mani sui fianchi. “Sta parlando della mia burocrazia.”

    Inghiottii. Quella era stata una mossa stupida.

    "Ascolti" disse, "voglio tornare giù sul pianeta, ma qualcosa sul tuo MobiGlas ha innescato i nostri nuovi sensori. E non ci piace che le persone riprendano le nostre zone di sicurezza. Abbiamo trovato una fotocamera attiva sul suo zaino. "

    Mi sfuggì un’esclamazione di sorpresa. "Oh, avevo dimenticato la fotocamera. E' il mio primo viaggio per lavoro e il mio primo viaggio fuori dal pianeta. Pensavo di registrare tutto."

    Feci una mezza alzata di spalle. Il capitano Hennessy brontolò sommessamente.

    "Per quanto riguarda il file, presumo che sia la mia consegna" dissi.

    Il capitano tirò fuori il suo MobiGlas e cominciò a rivedere alcune informazioni. Per tutto il tempo si morse il labbro inferiore sospirando. Intuivo il suo desiderio di tornare al luogo in cui si trovava in vacanza.

    Quando il capitano si rivolse nuovamente a me con la fronte aggrottata, capii che ero nei guai. Desiderava si, tornare alla sua vacanza, ma dallo stato impeccabile della sua uniforme, anche con un così breve preavviso, si intuiva che era una donna ligia al dovere e alla responsabilità.

    "La dimensione totale dei file sul dispositivo superano di gran lunga quanto approvato da FTL in base al suo livello di nulla osta per la sicurezza" disse, battendo il dito sullo schermo mentre parlava. "Come neo corriere, dovrebbe essere abilitata a trasportare ricette per l'agnello arrosto e al limite il progetto di una bicicletta. Le dimensioni del file che trasporta viene normalmente visto solo per grandi progetti industriali o sistemi complessi."

    Aprii la bocca per dire al capitano Hennessy di contattare la sede FTL sui Castra II. Avrebbero chiarito la questione.

    Ma esitai.

    Per due ragioni.

    La prima era che ci sarebbero voluti probabilmente diversi giorni alla società per fornire le informazioni necessarie al capitano Hennessy. Non solo avrei dovuto passare il tempo in una cella come questa ma non avrei effettuato la consegna entro la data stabilita.

    La seconda era meno sicura, più di speculazione, voci, sentito dire. Durante le poche settimane di formazione riguardanti soprattutto la complessità del viaggio interstellare e un pietoso corso di autodifesa, girava un aneddoto sulle nostre prossime prime consegne.

    Si raccontava che l’azienda di solito inviava i nuovi corrieri in prime missione false, dette in gergo "slitte di piombo". Un modo per verificare la loro fedeltà e capacità. Qualcuno diceva anche che aggiungevano degli ostacoli, con attori o funzionari reali, per vedere come avrebbe reagito il nuovo corriere.

    Così chiusi la bocca e ricalibrai la risposta, schiarendomi la gola per rendere credibile il ritardo.

    "Sono sicura che ci sia un errore di qualche tipo," dissi. "forse intendevano dare il file ad un altro corriere, o non si sono resi conto del mio livello di abilitazione per la sicurezza."

    Il capitano Hennessy si strinse le mani. "O hanno pensato che potevano fare filtrare questi file illegali attraverso la mia stazione. O forse lei sta lavorando per qualcun altro e si è fatta ingaggiare da FTL solo per utilizzare il loro nulla osta per la sicurezza. Il nuovo rivelatore è stato appena installato, nessuno dovrebbe saperlo ancora."

    Nonostante la mia innocenza, mi sentivo in colpa. Principalmente perché capivo come appariva la situazione.

    Ero pronta per entrare in ‘modalità bimba piccola’, un trucco che avevo usato a mio vantaggio più di una volta su Castra II. Peso solo quarantacinque chili anche dopo un pasto abbondante, e ho delle minute orecchie da elfo. Mio padre amava sostenere che mia madre, Abigail, era davvero una regina degli elfi che lui aveva sottratto ai folletti, e che in realtà non era morta, era appena tornata a casa. Era stata una bella bugia, una che mi ero ripetuta più di una volta.

    Guardai il capitano Hennessy. La osservai con attenzione. Avevo visto il suo tipo nel bar. Da giovane il dovere le aveva dato una presa salda su stili di vita fatiscenti. Forse aveva avuto un padre violento, o un brutto matrimonio, ma il servizio di sicurezza le aveva dato un modo per recuperare parte della sua vita.

    Non sapevo se avrebbe funzionato, ma dovevo approfittare dell’opportunità. Lasciai crollare le spalle e abbassai il mento sul petto.

    “Non importa”, dissi, lasciando che le parole rotolassero dalle mie labbra. "Anche se si tratta di un errore, non riuscirò ad effettuare la consegna in tempo e mi farò licenziare. E' proprio come sostiene mio padre, che in qualche modo avrei incasinato tutto. Ora dovrò tornare da lui."

    Rischiai una rapida occhiata e vidi il capitano Hennessy indietreggiare, anche se solo per un attimo. Mi aiutava il fatto che la maggior parte di quello che avevo detto era vero. Non volevo tornare indietro. E mio padre aveva detto che avrei rovinato tutto.

    Ma qualcosa del passato del capitano era stato innescato dalla mia ammissione. La sua fronte era tesa, quasi sporgente, lasciando i suoi occhi annegati nell’ombra. Stava stringendo le labbra così forte da renderle pallide come quelle di un cadavere.

    Posai la fronte sulle mani e aspettai. Il capitano Hennessy riprese a battere con fotrza sul suo MobiGlas sospirando. Stava borbottando qualcosa a proposito di una spiaggia e del poco tempo libero.

    "Sorri" mi disse, più un ordine che una domanda.

    La guardai con gli occhi inclinati verso l'alto. "Sì, signora?"

    "La quantità di scartoffie generate da un tentativo di violazione della sicurezza come questo è impressionante", disse il capitano, tenendo il dito sul MobiGlas.

    Il mio stomaco fece una capriola. Potevo già sentire mio padre darmi lezioni sulla stupidità dopo il mio ritorno forzato.

    “E l'unica che può approvare questo tipo di assurdità sono io", continò. “Ma quel poco che riesco a trovare su di te...” iniziò a scuotere la testa come se non riuscisse a credere a ciò che stava dicendo, "... e ho aspettato quasi un anno per ottenere questa vacanza. Se devo gestire questa situazione, la vacanza è andata.”

    Trattenni il fiato, mentre lei batteva le palpebre in un breve conflitto interiore. Sapevo che non ero ancora fuori pericolo.

    Infine arrivò alla sua conclusione e scoprii quale era il pezzo del puzzle che aveva fatto pendere la bilancia a mio favore.

    “E ne so qualcosa di una ragazza che non vuole tornare a casa. Quindi ho intenzione di eliminare la violazione dal sistema e lasciare che scenda sul pianeta".

    "Grazie, capitano Hennessy," dissi, mentre il sollievo mi attraversava le membra.

    "Ora devo andare," disse lei, un sorriso inaspettato sulle labbra. "Ma non voglio vederla di nuovo, giusto?"

    Annuii con entusiasmo.

    Dopo che il capitano uscì, uno degli agenti della sicurezza venne con la mia roba. Scosse la testa per tutto il tempo come se avesse appena visto dei fantasmi o un cane parlante.

    Il viaggio sulla navetta verso il pianeta fu breve e terrificante. Uno strato di nubi si era formato sopra New Alexandria e la visibilità sulla rotta verso il basso era scarsa.

    Appena arrivati mi misi in spalla lo zaino e attivai nuovamente la fotocamera. Mi diressi verso le uscite dello spazioporto schivando la folla e facendo attenzione alle indicazioni. Le mie gambe erano ancora deboli dal interrogatorio e dalla sconvolgente discesa. Almeno Oya III aveva una gravità simile a quella di Castra II. Ero forte per la mia taglia e per essere una ragazza, ma la sosta nell’area della sicurezza mi aveva lasciato debole per la fame.

    La prima cosa da fare era trovare una bancarella di cibo nei bazar costruiti intorno a New Alexandria. Quando lo spazioporto era stato costruito, gli operai venuti per il lavoro si erano stabiliti nei campi che circondavano la costruzione, e alla fine era nato un anello di nuove costruzioni e di baraccopoli. La vera ricchezza della città si trovava più a sud, ma io volevo andare a nord dove si trovava la WillsOp Corp.

    Nuova Alessandria era nota per i suoi spiedini di agnello speziato, e per un po' giurai di averne sentito l’odore. Ero in piedi all’esterno, accanto alle corsie degli hovertaxi cercando di orientarmi. Utilizzavo le funzioni mappa del MobiGlas aziendale, quasi pregustando la carne piccante sulla mia lingua, quando sentii il quieto ronzio di un electrocycle avvicinarsi.

    Alzai lo sguardo e vidi il volto di un colosso imponente che, in sella al suo veicolo, lo faceva apparire quasi la bicicletta di un bambino. Aveva i capelli color sale nero e il mento incolto abbinato alla colorazione dei capelli. Emanava un odore insopportabile che mi fece arricciare il naso.

    Pensavo che stesse per chiedere indicazioni quando vidi la durezza dei suoi occhi. Poi la sua forte mano carnosa si allungò e strappò il MobiGlas dalla mia presa. Mentre si allontanava mi diede uno sguardo significativo: seguimi e morirai.


    Continua.
     
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  4. amberleelessedil
     
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    User deleted


    PARTE 3

    Quando arrivarono le lacrime, non riuscii a trattenerle, la qual cosa mi fece sentire anche peggio.
    Non piango facilmente e sicuramente non piango in pubblico. In effetti, l'unica volta in cui mi ricordi di aver pianto di fronte ad altre persone è stata al funerale di mia madre, e inquel momento non mi importava di ciò che gli altri pensavano di me.
    La maggior parte dei viaggiatori che passavano per il porto erano lì per lavoro, perciò stavano salendo sugli hovertaxi che li avrebbero portati alle loro riunioni. Quando iniziai a singhiozzare, fu come se avessi una malattia molto contagiosa e all'improvviso si formò una bolla di spazio intorno a me.
    Seppellii il viso tra le mie braccia, tirando su il muco che minaciava di colare sulla manica del mio maglione preferito.
    Quando finalmente le lacrime si asciugarono, presi un profondo, tremante respiro.
    Quell'uomo, chiunque avesse preso il mio Mobiglas, non era un attore. Questo era tutto ciò che sapevo.
    Avevo già visto uomini come quello entrare al Golden Horde, e mio padre era sempre stato rapido a notarli e a mandarmi velocemente nel retro a fare l'inventario. C'era qualcosa di viscerale in loro, come se fossero dei predatori lasciati liberi in un ovile.
    Avevo voluto illudermi sulla stazione, pensando che il capitano potesse far parte della recita, parte della missione di prova nella quale ero stata mandata. Ma ora quella illusione era distrutta.
    Questo mi fece anche realizzare che la società poteva avermi dato i file sbagliati, oppure quelli erano i file giusti e poteva aver pianificato di farli passare di nascosto attarverso la security della stazione. E quell'uomo, chiaramente un qualche tipo di criminale, ne era a conoscenza.
    Questo rendeva il loro recupero ancora più importante. Diedi un pizzicotto al braccio, arrabbiata con me stessa per essere stata così disinvolta con il MobiGlas. Se non fossi riuscita a riprenderlo, sarei stata sicuramente licenziata dalla FTL, forse anche multata per la mia mancanza di attenzione, e a quel punto sarei dovuta tornare da mio padre non solo con un fallimento, ma anche con un debito.
    Ma come avrei fatto a riavere indietro il mio MobiGlas?
    Come aveva detto il Capitano Hennessy, ero una pivella inesperta. Non sapevo chi fosse quell'uomo, o dove stesse andando. E ora aveva buoni dieci minuti di vantaggio su una moto elettrica, mentre io ero ancora a piedi.
    In quel momento, il mio stomaco borbottò, ricordandomi un altro problema. Avevo fame. Ero debole per la fame, in effetti.
    A mio padre piaceva dire che mangiavo come un uccellino, se quell'uccellino era un condor. Io preferisco pensare che avevo il metabolismo di un colibrì, ma questo significa che mangiavo in continuazione.
    Rinunciare significava prendere qualcosa da mangiare. Non c'era modo che io potessi trovare quel tipo. Decisi che per prima cosa avrei trovato un venditore di kebab di agnello speziato, mentre consideravo le mie opzioni.
    Mentre afferravo gli spallacci del mio zaino, la mia mano colpì la parte posteriore della videocamera e il mio viso arrossì per l'eccitazione.
    Mi tolsi velocemente lo zaino dalle spalle e ci frugai dentro fino a che non trovai l'altro MobiGlas, il mio personale. Avevo dimenticato di averlo, con (auspicabilmente) la videocamera accesa, ma chi poteva saperlo con la fortuna che avevo?
    "Per favore, che stia ancora registrando, che stia ancora registrando," mormorai mentre prendevo i file della videocamera.
    Tirai un sospiro di sollievo quando vidi che stava ancora registrando.
    Tornando indietro di dieci minuti, rividi la scena. La parte posteriore della videocamera era rivolta verso il basso, per cui mostrava l'uomo da un'angolazione rivolta verso l'alto, mostrando direttamente il petto e il mento. Poi la visuale cominciò a vorticare insieme a me quando egli afferrò il MobiGlas e corse via.
    Mandai la scena tre volte fino a che non vidi quello di cui avevo bisogno. La prima cosa fu la targa della moto elettrica, compreso l'adesivo della società di affitto sulla parte posteriore. A meno che non avesse pianificato l'intero furto settimane prima, compreso un file sbagliato, potevo riuscire a scoprire la sua identità attraverso la società di affitto.
    Il secondo indizio, che però era anche il più preoccupante, era che indossava una tuta da spazio profondo sotto la sua giacca di pelle. Io avevo visto solo il suo viso quando mi aveva strappato il MobiGlas, ma la videocamera aveva ripreso il suo petto.
    Era probabile che avesse una nave nascosta da qualche parte sul pianeta o in un'orbita vicina. Il che significava anche che non avrebbe restituito l'elettrociclo.
    Ma se non potevo scoprire dove l'aveva affittato, potevo però scoprire dove era atterrato. Era una possibilità, in ogni caso, ma solo se mi mettevo subito sulle sue tracce. Il che significava che non avrei mangiato.
    Gemetti. Quindi chiamai un taxi, un land cruiser diesel invece di un hover dal momento che era tutto quello che potevo permettermi, e quando il guidatore mi chiese dove andare, feci una pausa. Avevo bisogno di muovermi, anche se non sapevo dove stava andando lui. Dovevo quindi fare un'ipotesi plausibile. A sud c'era la zona più sicura, perciò era improbabile che fosse finito lì. A nord c'era la zona più industriale, perciò c'erano molte videocamere di sicurezza. Il che lasciava l'ovest o l'est.
    Uno sguardo veloce alla mappa sul mio MobiGlas mi mostrò che la parte ovest di Nuova Alessandria era meno popolata. Trovai un villaggio lungo le strade principali e dissi all'autista di portarmi lì. Ovest aveva un senso anche perché lui era su una moto elettrica, che richiedeva delle strade, cosa che contadini e gente di campagna ancora usava.
    Mentre [l'autista] guidava, comincia a chiamare i servizi di affitto dell'area, chiedendo se un uomo troppo grosso per una moto ne avesse affittata una di recente. Nessuno volle dirmi nulla fino a che non dissi loro questo: primo, era mio marito e stava cercando di lasciare me e il mio nuovo bambino, e secondo, non aveva intenzione di restituire la moto.
    Trovai la società giusta al terzo tentativo. Era ad ovest, a circa un centinaio di chilometri dalla città. Feci i calcoli sul taxi e capii che avevo a malapena abbastanza soldi. Se avessi avuto bisogno di andare da qualche parte ancora più ad ovest, non ci sarei riuscita.
    Dopo che mi fui sistemata sul sedile, rimpiansi enormemente quello che stavo per fare. Sarebbe stato più sicuro tornare indietro, conservare i miei soldi, e usare il tempo del viaggio per capire come avrei potuto restituire i soldi alla FTL.
    L'altra opzione era di mandare tutto al diavolo e rimanere sul pianeta, trovando un lavoro appropriato alle mie capacità, quali fossero.
    Ma una piccola parte di me non voleva lasciarsi scappare questa opportunità. Erano anni che pianificavo e risparmiavo per arrivare a questo punto. Non potevo permettere che un po' di sfortuna mi buttasse giù. Inoltre, non volevo tornare da mio padre a mani vuote e con dei debiti.
    Diedi uno schiaffo al sedile, guadagnandomi uno sguardo di disapprovazione dall'autista. Quindi il mio stomaco ruggì, guadagnandomi un sorrisetto compiaciuto.
    E proprio mentre una pioggia leggera cominciava a picchiettare sui finestrini del taxi, passammo una fila di bancarelle esterne di cibo lunga almeno un chilometro. Udii subito i venditori che urlavano le loro merci con il loro accento strascicato da spaziali: gnocchi di formaggio fritto, stufato di tunnel bird, apple pops, birra e così via.
    Superammo le bancarelle a passo lento a causa del traffico. Se non fossi stata così affamata, e non avessi fissato con brama ogni singola bancarella, non mi sarei accorta del gigante, rannicchiato sotto ad una tenda.
    "Accosta lì," dissi, e ci fermammo dietro ad un enorme camion transcontinentale con pneumatici alti quanto me.
    Il gigante stava finendo un paio di kebab, di agnello speziato, immagino, a giudicare dallo sguardo contento sulla sua faccia. Figurati. Stava ancora risucchiando la carne dal bastoncino, perciò decisi di fare una corsa fino ad una delle bancarelle. Avevo bisogno di mettere qualcosa in pancia, stavo svenendo dalla fame.
    La pioggia era aumentata, e io mi spostai attraverso la folla verso una delle bancarelle di cibo con la coda più corta, asciugandomi l'acqua dalla faccia. Gnocchi di formaggio fritto. Non ero una fan, ma non sarei stata comunque esigente.
    Nonostante la coda fosse corta, si muoveva lentamente. Strinsi i pugni e desiderai di procedere più velocemente, ma sembrò che rallentasse ancora di più. Il mio stomaco aggiunse qualche borbottio per accompagnare le mie imprecazioni mormorate.
    E proprio quando finalmente raggiunsi la parte anteriore e il venditore della bancarella, un uomo abbronzato vestito di cuoio con dei numeri tatuati sul collo che mi chiese con la sua pronuncia lenta, "A fata, che tte do? [libera traduzione di: Whatchu want, ladybug?]", vidi il gigante spostarsi verso la moto elettrica parcheggiata lì vicino.
    Quando ci salì su e si allontanò velocemente, lanciai una maledizione e corsi indietro verso il taxi. Il venditore mi urlò dietro, "Comunque, non volevo i tuoi soldi!"
    Seguii il gigante con il taxi per altri trenta chilometri e per tutto il tempo fantasticai sul cibo. Quindi il gigante deviò dalla strada principale a due corsie e raggiunse un sentiero secondario di ghiaia che correva in mezzo a due fattorie. Si stava facendo buio, e lo strato di nuvole rendeva la luce fioca e piatta.
    Feci andare avanti il taxi, quindi lo feci tornare indietro e imboccare la strada di ghiaia. Passate le fattorie, il paesaggio si mutò in un bosco, sebbene gli alberi fossero bassi e tozzi e avessero foglie giallo-verdi che mandavano un odore di eucalipto attraverso il finestrino aperto.
    Quando vidi il veicolo per l'atterraggio attraverso un'apertura tra gli alberi, chiesi all'autista di farmi scendere. Mi chiese se dovesse aspettare, ma non avevo soldi per il ritorno, per cui gli dissi di andare. Prese il pagamento attraverso il MobiGlas, cosa che prosciugò completamente il mio conto corrente.
    Mi trascinai lungo il sentiero, notando i segni degli pneumatici nell'erba bagnata. Quando raggiunsi il limitare della radura, mi accucciai e mi guardai intorno. A parte il veicolo di atterraggio grigio acciaio, segnato da bruciature sulla parte anteriore per i numerosi rientri, la radura era vuota.
    Accucciata sulle caviglie, fui colpita in pieno da un attimo di razionalità. Cosa stavo facendo lì, per lo spazio profondo? Quell'uomo era probabilmente un killer, e quanto meno un criminale.
    Chiudendo gli occhi, sentii gli insetti cantare tra gli alberi. Proprio nel momento in cui decisi di abbandonare la mia folle missione di riportare il MobiGlas alla società, sentii rompersi un rametto da qualche parte dietro di me.
    "Piccola feccia ostinata," disse una voce proveniente da dove si era rotto il ramo. "Sembra che Dario si sia trovato un alleato."
    La dizione di chi aveva parlato mi confuse. Era il dialetto pulito di un aristocratico terrestre, non di un bruto bullo della taglia di un Vanduul.
    Ma non ebbi la possibilità di vedere colui che aveva parlato prima che qualcosa mi colpisse alle spalle e che perdessi isensi.

    Continua.
     
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    Parte 4

    Mi svegliò la leggera vibrazione del motore quantico della nave contro la mia guancia. Sdraiata sul fianco mi strofinai gli occhi fino a quando non riuscii a vedere. Qualunque cosa fosse stato ciò che mi aveva fatto perdere i sensi mi aveva anche lasciata intontita, come se ogni pensiero dovesse trovare la strada attraverso strati di fango.

    Riuscii a mettermi seduta, avevo dei cavi che mi bloccavano i polsi e che, passando per degli anelli, tintinnavano contro il pannello della porta. Le estremità opposte erano avvitate al pavimento. Avevo abbastanza gioco per raggiungere il viso con le mani, ma niente di più.

    Il sedile del pilota si girò, rivelando il bruto che aveva rubato il mio MobiGlas. Indossava una tuta pressurizzata blu navy senza i guanti ed il casco. Congiunse le dita osservandomi con uno sguardo attento che mi fece sentire come un pollo pronto ad essere spennato e messo al forno.

    "Tu non vuoi uccidermi”, sbottai.

    Sollevò le sopracciglia. "No? Illuminami."

    Non riuscii ad evitare di scuotere la testa. Quella voce dotta proveniente da quel corpo brutale era una contraddizione.

    Mi resi conto che era stato un errore da parte mia aver parlato prima di valutare appieno la situazione. Dietro al bruto, visibile sullo schermo, c’era il vuoto nero dello spazio con l’eccezione di un piccolo punto rossastro al centro dello schermo stesso. Sembrava un pianeta con una sottile aura intorno. Probabilmente un gigante gassoso.

    "Qual è il tuo nome?" Chiesi, sentendomi in stallo.

    Si leccò le labbra. "Burnett."

    Disse la prima parte del suo nome come sbavando e la seconda parte rotolando la lingua.

    “Beh, Burnett," ripresi, guardandosi intorno l'abitacolo, "Sono Sorri, ma non mi dispiace." [NdT: battuta intraducibile - I’m Sorri, but not sorry]

    Alla mia battuta, lui arricciò il labbro superiore mostrando i denti. "So chi sei."

    Giusto. Il che mi mise in notevole svantaggio. Non sapevo chi fosse questo Burnett, tranne che aveva rubato il mio MobiGlas e mi aveva rapito.

    Allungai il collo per vedere il pannello di controllo della nave, non mi fu di alcun aiuto. Non ero capace di distinguere le differenze tra una nave capace di attraversare un Jump Point e una navetta per il volo interplanetario.

    Burnett sembrava divertirsi come un gatto che osserva un topo in trappola.

    Scandagliai la memoria in cerca di qualsiasi cosa potesse essermi utile quando mi ricordai dell'ultima cosa che Burnett aveva detto: Sembra che Dario abbia trovato un alleato.

    Ora, per lo spazio profondo, cosa voleva dire?

    I miei occhi si spalancarono quando riuscii a collegare i fatti. "Dario, quello della Solar Jammer, aveva messo qualcosa nel mio MobiGlas. Questo è ciò che aveva rilevato la Sicurezza. Non avrebbero dovuto mai lasciarmi passare." Le parole attraversarono le mie labbra, metà comprensione, metà rimpianto.

    Gli angoli degli occhi di Burnett contratti e la cabina angusta sembravano stringersi su di me ancora di più. Ero a due passi da questo dotto uomo-bestia, e lui aveva una lama sul fianco. Guardò il pavimento di metallo duro e si mise a ridere.

    "Non ti preoccupare. Non ti tagliarò la gola. Il sangue potrebbe trasudare sotto il rivestimento dello scafo ed interferire con le componenti elettroniche. Quando sarà il momento di sbarazzarmi di te, mi limiterò a buttarti fuori dalla camera di decompressione."

    Quando…

    "Allora cosa stai aspettando?" Chiesi, sollevando il mento e guardandolo direttamente negli occhi verde-marrone. Mi morsi il labbro inferiore per non farlo tremare.

    “Sembravi una che chiacchiera volentieri. Speravo che sputassi fuori qualunque piano tu e Dario avevate architettato, risparmiandomi la fatica di doverti torturare".

    "Ma io non lo conosco. Sono solo un corriere della FTL. Sai, quando hai bisogno di recapitare un messaggio, non c'è niente di più veloce di FTL?"

    Le parole rotolarono su se stesse uscendo delle mie labbra. Sentivo l'orologio della mia vita ticchettare gli ultimi secondi.

    Lui socchiuse gli occhi e spostò in avanti il sedile che, data la sua mole, praticamente aveva il fondo in acciaio piegato. "Sembra che tu stia dicendo la verità, ma sarebbe sufficiente utilizzare un po’ il coltello per assicurarmi che non sia semplicemente una buona bugiarda".

    "Cosa vuoi sapere? Non ho niente da perdere, giusto?"

    Burnett sembrò prendere in considerazione la mia offerta.

    “Tu non conosci Dario?" Chiese dopo un po'.

    "No" dissi. "Ho parlato con lui durante il viaggio, soprattutto all'inizio. Deve aver violato il mio MobiGlas quando ero addormentata. Avrà caricato il file su di esso, qualunque cosa sia deve essere importante, vero?"

    "Non arrovellare la tua piccola testolina per questo."

    Ebbi un momento di intuizione. "E' un tuo rivale, non è vero? Hai capito quello che stava per fare. Mi ha usato per fare passare il file oltre la Sicurezza. Quindi ti è stato sufficiente aspettarmi sul pianeta e prendermelo".

    Burnett annuì. "Niente di male nel dirti che è così. I nuovi corrieri non trasportano mai file importanti, infatti, di solito, ricevono solamente materiale finto allo scopo di essere messi alla prova. Quindi non avevi la classe di sicurezza necessaria per questo tipo di dati. Quando ho scoperto che Dario indagava su di te, ho colto l'occasione, ho immaginato che avrebbe tentato di nuovo questo trucco."

    Poi si alzò e la sedia gemette sotto lo sforzo. Doveva tenere la testa abbassata per evitare di urtare il soffitto. Quando lui strinse le labbra ed emise un sospiro, il mio stomaco si contorse in un nodo.

    “E ora è il momento di dirci addio. Mi dispiace davvero che Dario ti abbia usato, ma tu non avresti mai dovuto seguirmi" disse, afferrando un cacciavite dal sedile accanto al suo.

    Quando avanzò verso di me pensai di graffiarlo come avrebbe fatto un gatto infuriato, ma questo lo avrebbe solo farlo arrabbiare. Dovevo controllarmi e tenere per me i miei pensieri, ma era difficile, davvero difficile.

    Si chinò e cominciò a svitare i cavi dal pavimento senza la minima preoccupazione. Mi sentivo come una bambina accanto a lui. Il coltello sulla sua cintura era soltanto ad un braccio di distanza, ma sapevo che sarebbe stato più veloce di me.

    Guardai fuori dallo schermo nella parte anteriore della nave. Il gigante gassoso rossastro era ormai un oggetto di dimensioni significative, le sue caratteristiche cominciando ad apparire.

    "Hai intenzione di vendere i dati a dei pirati, eh?"

    Sorrisi e accennai verso la parte anteriore della nave con la testa, ma temevo di apparire come una dilettante. Il suo occhio destro si contrasse.

    "Più o meno" disse, liberando il primo cavo in modo da permettermi di muovere il braccio mentre si mise al lavoro sul secondo.

    "Scommetto che non saranno felici quando l'UEE si presenterà" dissi.

    Si accigliò mentre continuava ad allentare il secondo cavo. Afferrò le estremità e mi tirò su. Mi tirò dietro di lui nella cabina principale dietro la cabina di guida.
    Il contenuto del mio zaino era sparso alla rinfusa su un tavolo, compreso l’altro MobiGlas e i miei effetti personali. Sul retro della cabina si trovava una camera di decompressione. Burnett mi condusse alla porta e cominciò a mettersi i guanti fissandoli con attenzione. Ogni gesto trasformava il mio stomaco in piombo.
    Poi tirò fuori un cacciavite e cominciò a liberare le fascette intorno ai polsi. La sua mano carnosa, anche con il guanto della tuta, era una morsa intorno alle mie braccia. Avrei potuto lamentarmi per i lividi, ma a breve non sarebbe importato gran ché.

    "Sai bene che non funzionerà” dissi, ma Burnett continuò a lavorare. "Non ti avrei seguito se non avessi una misura di sicurezza".

    Si strinse nelle spalle e estrasse la vite dal primo morsetto. Il metallo cadde sul pavimento vicino al mio piede.

    "Non sono stupida" dissi. "Ho capito dove si trovava la tua navetta abbastanza rapidamente, no?"

    Si interruppe con la vite estratta a metà dal secondo morsetto, la barba spruzzata di grigio sul mento mentre aggrottava la fronte.

    "Parla", disse.

    "FTL. Il servizio di corriere. Hanno due misure di sicurezza. Uno è il MobiGlas aziendale" Notai il suo sguardo muoversi verso il taschino "l'altra la iniettano dentro di noi da qualche parte. E’ una sonda che emette un segnale se moriamo, se il MobiGlas viene distrutto, o per una serie di altri motivi. Potrebbe anche essersi attivata forse sta già trasmettendo in questo momento."

    Burnett ringhiò e digitò con le dita guantate alcuni comandi sul suo MobiGlas. Quando alla fine fece un grugnito di soddisfazione, capii che aveva effettuato una scansione per verificare eventuali trasmissioni e che non aveva trovato nulla.

    Mi rivolse uno sguardo torvo e finì di rimuovere l'ultima vite. Sobbalzai quando la vite rimbalzò sul pavimento. Liberò i miei polsi ed io feci un passo indietro strofinandomeli mentre riacquistavo la sensibilità. Sentivo punture di spillo lungo le braccia così le scossi fino a che non passò.

    Per tutto il tempo Burnett continuò ad mi osservarmi, in una mano il cacciavite e l'altra mollemente posata sul manico del coltello. Ebbi la spiacevole sensazione che stesse pensando di sezionarmi con il coltello per cercare l’inesistente sonda.

    Il computer della nave inviò un annuncio attraverso gli altoparlanti, "Destinazione in avvicinamento. Arrivo previsto in cinque minuti."

    Davanti alla nave il gigante di gas occupò interamente lo schermo, sospesa davanti ad esso si trovava una luna di ghiaccio grigiastro. La nostra destinazione, pensai.

    Burnett si sporse verso di me, e io pensai che stesse per sbattermi nella camera di decompressione. Invece, mi spinse verso la cabina e ringhiò. "Bene. Non ti butterò fuori dalla camera di decompressione. Ma presto lo rimpiangerai".

    Volevo inghiottire, ma non riuscivo a mandare giù la saliva. "Perché?"

    "Hai mai sentito parlare degli Stardevils?" Chiese.

    Scossi la testa.

    "Drogati WiDoW. Fanno sembrare gli SLAM-heads dei santi. Piuttosto che ucciderti, mi limiterò a venderti a loro. Otterrò un piccolo profitto e quando accidentalmente morirai durante una delle loro speciali orge di dolore, la tua piccola sonda, se esiste, porterà la UEE sulle loro teste infestate di larve. Ma questo non è un mio problema dato che io sarò già molto lontano."

    Con mia grande vergogna le gambe cedettero e collassai contro la camera di decompressione cercando di sorreggermi al portello. La debolezza era dovuta per lo più alla fame, non avevo mangiato per giorni, ma questa nuova visione di ciò che sarebbe stato di me rese ancora più stordita di preoccupazione.

    Le labbra di Burnett tese rivelarono i denti. "Sicura che non preferisci la camera di decompressione, ora?"


    Continua.
     
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    PARTE 5

    Quando la Night Stalker, la nave di Burnett, entrò beccheggiando nella stazione d'attracco, il suono di metalli che si toccavano echeggiò attraverso la nave. Immediatamente, una debole musica risuonò contro l'acciaio esterno.
    Osservando la vista dell'astroporto al di fuori della Night Stalker, si poteva vedere la luce rossastra del gigante gassoso riflessa dal porto scavato nel meteorite degli Stardevils. La forma della base faceva pensare che due o tre vecchi Starfarer fossero stati tirati fuori dalla naftalina e fossero stati saldati insieme.
    "Casa dolce casa," disse Burnett alle mie spalle.
    Mi mostrò tutti i suoi denti e io tornai a guardare la base degli Stardevils.
    "Perché lo fai?" chiesi.
    "Perché faccio cosa?"
    Un gancio o qualche altro meccanismo pesante colpì la camera di equilibrio. Eravamo stati autorizzati ad entrare.
    Burnett si mosse verso la porta, per cui io mi mossi in avanti. "Perché rubi? Prima di vendermi, dimmi almeno questo. Me lo devi."
    "No, non te lo devo," replicò, guardandomi con gli occhi semichiusi.
    "Beh, almeno non ti costa nulla."
    Burnett emise un borbottio di gola. "Bene. D'altronde non ha importanza. La UEE puzza di corruzione, ogni dannata corporation imbroglia, e se provi a fare la cosa giusta ti fregano. Un bel giorno ne hai abbastanza e ti prendi quello che ti è dovuto."
    Appoggiò le mani enormi, tutte e due, sul pannello della porta e in breve lo strinse così tanto che le sue nocche schioccarono. Scosse la testa come se un qualche ricordo lo stesse assalendo.
    Quando tornò a guardarmi, cercai di non arretrare.
    "Mentre siamo qua, mi aspetto solo che tu stia zitta. Se fai la brava, dirò loro che hai delle capacità che possono tornargli utili. Se mi fai incazzare, dirò loro che sei buona solo per una cosa, e credo che tu possa indovinare quale. Chiaro?"
    Annuii.
    "Bene," disse e digitò il codice nella camera d'equilibrio.
    La musica fluì all'interno della Night Stalker, intendendo musica in senso lato. Un basso stroboscopico suonava come se una nota continuasse a ripetersi e aumentasse a livelli tali da fondere il cervello. C'erano altri striduli strumenti sovrastanti, ma era difficile riconoscerli. Sembrava che gli strumenti venissero disintegrati mentre venivano suonati. L'intera cacofonia avrebbe potuto essere musica d'ambiente per un Inferno Robotico.
    Burnett mi spinse avanti mentre mi tenevo chiuse le orecchie con la punta delle dita. La gravità artificiale era regolata molto alta e le mie gambe cedevano ad ogni passo. Sembrava che a Burnett piacesse.
    L'interno della base faceva sembrare ordinato il disordinato esterno. Tubi ed altre forme casuali di metallo erano stati saldati alle pareti. Al centro del pavimento, era stato costruito un grande oggetto fallico adatto ad un gigante.
    Non vidi il comitato d'accoglienza degli Stardevils fino a che l'uomo non uscì dalle ombre. Aveva capelli simili a tubi di gomma, un viso allungato in modo anomalo, e strisce nero inchiostro sulle braccia e sul collo – segni di un uso assiduo di WIDoW.
    “Gonna whicha broda sista, [?]”, disse lo Stardevil drogato con i capelli come tubi di gomma, prima di afferrarmi il braccio e di iniziare a trascinarmi lungo il corridoio. Lottai con lui, ma era più abituato alla maggiore gravità e i miei stivali scivolarono emettendo un rumore metallico.
    Burnett si mosse in avanti e diede una spinta sulle spalle allo Stardevil, facendogli rilasciare il mio braccio.
    "Metti giù le tue dannate mani," disse Burnett.
    Mi massaggiai il braccio. "Grazie."
    "Non ti hanno ancora pagata," disse, distogliendo lo sguardo.
    Una voce di donna gridò sulla musica. "Bene, Burnett, ci hai portato qualcosa di più di un piccolo affare di decrittazione?"
    La donna era alta e snella, come una ballerina, aveva dreads bianchi e neri, e indossava una tuta di pelle nera. Non era carina, ma aveva la sicurezza di una modella.
    "Carne fresca, Synthia, se ti piace," disse lui, alzando le spalle. "Ma se non ti piace, la posso vendere altrove. Ho solo bisogno che questo file venga aperto. La ragazza è un bonus."
    Synthia mi valutò con lo sguardo. "Seguimi."
    Il tragitto era più o meno lo stesso, sembrava il sogno intricato di un artista pazzo. Perlomeno nel resto della nave la musica non era così assordante.
    Synthia ci condusse a quello che sembrava un bar, se ti piace sedere su oggetti appuntiti. Io diedi un'occhiata all'affare fatto con fucili curvati e rimasi in piedi. Burnett si appoggiò saggiamente contro il bancone, mentre Synthia si accomodò su una sedia di forma bitorzoluta con chiodi appuntiti che formavano la spalliera.
    "Vediamo," disse Synthia, alzando un'unghia color ebano.
    Burnett prese con due dita il MobiGlas rubato dal taschino e lo lanciò indifferente a Synthia. Probabilmente avevo raschiato la gola, perché Burnett socchiuse gli occhi nella mia direzione, ricordandomi di mantenere la bocca chiusa.
    Leccandosi le labbra, Synthia toccò in modo esperto l'apparecchiatura per un minuto prima di rialzare lo sguardo.
    "Quindi?" chiese lui.
    "Si può fare," rispose lei e le sue labbra si curvarono, "per il doppio del prezzo normale."
    La vena nel collo di Burnett cominciò a pulsare in modo evidente. Devo però dargli credito, lui mandò giù il rospo e dopo aver rilassato il collo diede la sua risposta.
    "Centocinquanta e hai anche lei." Accennò nella mia direzione.
    La bocca di Synthia si strinse un po'. "Lei? Stai scherzando, vero? Lei dovrebbe essere in grado di far partire una Avenger ad occhi chiusi perché ne valga il prezzo."
    Il borbottio partì dal petto di Burnett. Quando la sua fronte si abbassò, io sapevo che avrebbe ceduto.
    Se mi aveste chiesto più tardi perché parlai, avrei risposto che lo avevo fatto d'istinto, ma avrei mentito. In realtà si trattò di orgoglio e non sapevo neanche di quanti crediti stessero parlando.
    "Valgo il doppio," dissi, proprio mentre Burnett stava per parlare.
    Gli occhi spalancati registrarono lo shock sulla faccia di Synthia come per un terremoto, e questa fu probabilmente l'unica cosa che le impedì di notare che Burnett stava per alzarsi e colpirmi.
    "Sono una chimica esperta," spiattellai. "Posso raddoppiare l'efficienza del tuo produttore di WIDoW. E senza tagliarla con immondizia. Solo prodotti di qualità. Meno effetti collaterali e migliori tassi di vendita."
    "Burnett?" chiese Synthia. "Perché sei stato così prudente? Mi interessa moltissimo, ma non imbrogliarmi. Se sta mentendo e mi sta facendo perdere tempo, allora il prezzo sale a duecentocinquanta."
    Se la vena del collo di Burnett fosse scoppiata in quel momento, non ne sarei stata sorpresa.
    Sputai fuori le parole prima che potesse rovinare tutto: "Mio padre aveva un bar, e ci facevamo la nostra birra, e quando le cose si fecero difficili, lui produsse altre cose."
    "Potresti mentire, ragazza," disse Synthia, picchiettando il labbro inferiore con la sua unghia laccata di nero.
    "E' tutto sul mio MobiGlas, sulla nave. Certificazioni da fabbricante di birra, testi di chimica, tutto. Vedrai. Lasciami andare a prenderli e te lo mostrerò."
    Quando mi mossi verso la porta, Burnett afferrò il mio braccio. Le sue dita affondarono nel muscolo e dovetti reprimere un grido di dolore.
    "Lo. Prendo. Io." [disse] infondendo in ogni parola una tale minaccia che potei già sentire le mie ossa rompersi. Ora non mi avrebbe solo lanciata fuori dalla camera d'equilibrio, mi avrebbe anche ridotta in mille pezzi.
    "Tu rimani," e puntò il suo dito carnoso allo sgabello di fronte a Synthia.
    Dopo che Burnett se ne fu andato, Synthia incrociò le braccia, piegò la testa da un lato, e si leccò le labbra nell'attesa.
    "Stai mentendo, non è vero?"
    Avevo bluffato alla spaziale senza avere un piano, ma il modo in cui mi guardava, il modo in cui i suoi occhi si stringevano agli angoli e luccicavano di una luce cattiva mi fecero capire che dovevo inventarmi qualcosa al più presto.
    Strofinandomi le tempie, cercai di pensare a qualcosa. Qualunque cosa fosse, dovevo fare in fretta. Presto Burnett sarebbe tornato con il mio MobiGlas e io sarei morta.
    Il MobiGlas.
    Il mio MobiGlas.
    "Mi ha rapita," dissi. "Sono un corriere. Il corriere che stava trasportando il MobiGlas. Mi stava per lanciare dalla camera di equilibrio, ma gli ho detto della sonda che la società ci impianta per sicurezza. Perciò ha deciso di appiopparmi a te per coprire le sue tracce da quello che c'è sull'altro MobiGlas."
    "E perché dovrei crederti?" chiese Synthia.
    "Non devi credere a me. Credi a lui. Ho registrato tutto ciò che ha detto." O almeno spero di averlo fatto. "E' sul MobiGlas. Te lo farò sentire quando tornerà."
    Synthia allungò il collo e e raccolse i suoi dreads in modo tale che le ricadessero sulle spalle. Quindi diede un comando sottovoce, presunsi che chiedesse rinforzi, e mi diede un pigro sguardo del tipo aspetta e vedrai.
    Quando Burnett tornò, mi lanciò il MobiGlas. Aveva le labbra strette e le narici contratte.
    "Mostrale i tuoi file."
    Picchiettai sul vetro, applaudendo silenziosamente quando vidi che stava ancora registrando, e porsi il MobiGlas a Synthia. Lei appoggiò l'altro sul tavolo e iniziò a vedere le registrazione.
    Quando una mezza dozzina di altri Stardevils arrivarono con tubi e piedi di porco, ognuno via via con un'espressione più distorta di quella di Synthia, Burnett arretrò verso il bar e scoprì i denti. I suoi occhi vagavano per tutta la stanza. Sapeva che stava per accadere qualcosa.
    "Consegnarci alla UEE?" chiese Synthia. "Non è una bella cosa da fare ad un socio in affari. Forse quando avrò preso questi file, ti ficcheremo questo MobiGlas dappertutto e ti getteremo dalla camera d'equilibrio."
    Mi allontanai da Burnett quando gli altri si avvicinarono. Scroccò le nocche e si preparò per combattere. Nonostante fosse in svantaggio numerico, non sembrava impaurito. In effetti, sembrava assolutamente pronto a tirare pugni.
    "Stavo per farvi fuori [? to ghost your ass]," disse Synthia, "ma poi ho deciso di far prima divertire la banda. Non gli capita spesso l'opportunità di farlo."
    Quando Burnett fece un disperato affondo verso Synthia, gli altri attaccarono. La lotta passò presto alle armi spuntate e ai pugni, e Burnett, in svantaggio numerico e disarmato, stava straordinariamente facendo la sua parte. Approfittai del momento di distrazione per afferrare il MobiGlas della società e fiondarmi fuori dalla stanza, sfortunatamente il mio Glas personale restò indietro.
    Non ero sicura che mi avessero vista, ma continuai a correre come se l'avessero fatto. Fortunatamente, ogni corridoio era così particolare che riuscii a trovare la strada per la Night Stalker.
    Dal momento che la camera d'equilibrio era chiusa, corsi verso il cockpit e inizia a dare pugni ai pulsanti, sperando che Burnett non avesse bloccato il sistema.
    Quando colpii la sequenza giusta e la Night Stalker si staccò dalla base degli Stardevils, indirizzai la nave verso Oya III, il più velocemente possibile. Chiudendomi dentro l'imbracatura, mi preparai per l'accelerazione, proprio quando un'esplosione fece oscillare la nave.

    Continua...
     
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    Parte 6

    Niente può scuotere una persona più della certezza della morte imminente. Ero completamente esausta. Il mio corpo tremante aveva pagato un caro prezzo attraversando la base dei pirati ad alta gravità. Non avevo mangiato da giorni. Ero passata da una situazione critica all’altra fin da quando avevo messo piede fuori dalla Solar Jammer su Oya III.

    Ma quando il Night Stalker sbandò di lato e lo scafo esterno emise uno stridore simile all’urlo di una banshee, scoprii di avere ancora una riserva di energie.

    Osservai i monitor cercando le informazioni di cui avevo bisogno. "Maledizione nave, dove è il tuo rapporto sui danni!?"

    Quando trovai la schermata giusta e riuscii a comprenderne il significato, il mio intestino si contorse mentre immaginavo una voce incorporea galleggiare su di me: "Propulsori di manovra sei e otto non operativi. Lieve perdita di pressione nel vano di carico ma guarnizione della porta interna operativa. In caso di cedimento della guarnizione della porta interna sei fregata."

    “Spiegami”, dissi alla voce immaginaria della nave. La quantità di informazioni visualizzate davanti a me era travolgente. Luci guizzavano su tutto il pannello di controllo, grafici oscillavano, numeri rimbalzavano instabili. Il tutto era una disastrosa confusione di informazioni, luci e grafici, quasi come se la console stesse dando delle informazioni statistiche su di me piuttosto che sulla Night Stalker.

    Le mie mani erano sospese sopra il pannello di controllo, nel tentativo di fare qualcosa, attivare qualcosa. Prepararsi per la battaglia, o semplicemente farla andare più veloce. Eravamo stati addestrati con un corso rudimentale di pilotaggio, sufficiente per dare supporto ad un vero pilota. Non avremmo avuto problemi come equipaggio ma era completamente diverso trovarsi a comandare la nave in assoluta autonomia. Per lo più, ci era stato insegnato a rimanere fuori dai piedi.

    Sollevai le mani.

    “Nave! Che devo fare?”

    Mi restituì una risposta urgente, una luce lampeggiante rossa che mi fece pensare immediatamente a qualcosa di brutto che stava per accadere.

    "Cosa sei?" Chiesi alla luce rossa, ma non lei non rispose. Stupida luce. Perché non fornire a queste navi un’interfaccia vocale? Assurdo.

    "Sei il lock di un'arma? E 'questo che stai cercando di dirmi?"

    Le mie dita cercarono il display degli scudi. Trovai il simbolo di una nave con intorno un debole alone. Vi battei sopra fino a che l’alone non acquisì un aspetto solido e pieno.

    "Sei l’indicatore degli scudi? Per l'inferno, spero proprio che tu lo sia".

    La nave tremò nuovamente, questa volta però non in modo violento. Più come un’oscillazione piuttosto che un impatto pieno.

    "Uhm, uhm ..." Battei sul mio labbro inferiore. "Ora come faccio a capire se stiamo andando abbastanza velocemente?"

    Ringhiando, guardai avanti. La vista frontale era di nuovo perlopiù nera, tranne che per il sole arancione al centro. A sinistra c'era una minuscola sfera blu e marrone, Oya III, immaginai.

    Localizzato il throttle, spinsi a fondo accelerando al massimo, ma gli scudi sbiadirono.

    "Fantastico. O l’uno o l'altro. Burnett deve aver trovato questo rottame nella discarica più vicina, di strada per arrivare qui. Non mi poteva capitare un ladro competente che rubasse i miei MobiGlas. Scommetto che Dario ha una nave migliore, una Freelancer o qualcosa del genere."

    Ma tutte le mie lamentele non servivano a migliorare la mia situazione. Avevo bisogno di più velocità, ma per farlo avrei dovuto ridurre i mie scudi. Con una smorfia ridussi gli scudi in modo da poter aumentare la velocità.

    La luminosità dell’alone si ridusse, proprio mentre un'altra esplosione colpì la fiancata della nave. Le luci si attenuarono ed il ronzio della propulsione scese di tono per un momento.

    “Per l’inferno!”

    Spinsi le mani contro il viso e mi strofinai gli occhi con le dita. Stavo sbagliando tutto.

    "Dannazione, nave. Devi dirmi quando prendo decisioni stupide."

    Un po' costernata, regolai gli scudi fino a quando la luce sembrava abbastanza luminosa, non avendo la minima idea di cosa potesse essere abbastanza. Poi controllai sistemi per verificare i danni.

    Mormorai a me stessa mentre leggevo il rapporto, "Propulsore di manovra di prua numero tre non operativo. Motore quantico non operativo. Falle nella stiva e nella sezione numero cinque. Entrambe isolate. Ottimo, spero non ho bisogno di nulla da lì."

    Sbattei ripetutamente la nuca sul poggiatesta. Non era già abbastanza grave che la propulsione quantica fosse fuori uso e che probabilmente stavo per morire. Mi ero cacciata io stessa in questo pasticcio per ingannare quello stupido di Burnett, anche se mi aveva detto di non farlo.

    "Va bene. Niente panico," mi dissi, ma sentii una contrazione allo stomaco. "Stiamo superando le navi che ci inseguono? Questo è quello che ho bisogno di capire in questo momento."

    Guardai di nuovo gli schermi, battendo i tasti a caso fino a quando non trovai qualcosa che assomigliava ai comandi degli di scanner. Sembrava che le prime tre navi stessero rimanendo indietro, ma altre due navi, che avevano lasciato la base dei pirati dopo le prime tre, mi avrebbero raggiunto presto. Inoltre altre cinque stavano lasciando la base in quel momento.

    “E quanto tempo occorre per raggiungere Oya III?" Chiesi, afferrandomi i capelli e tirando. Non conoscevo la risposta esatta, ma il procedere a velocità di manovra implicava certo il non arrivare in un ora o due come sarebbe stato con la propulsione quantica. Probabilmente occorrevano giorni.

    Mi lasciai cadere di nuovo sulla poltrona di pilotaggio. "Ho bisogno di più velocità".

    Una luce rossa sul pannello di controllo lampeggiava. La fissai per un po'. Poi misi il dito sul pulsante di conferma.

    "No," dissi, scuotendo la testa. "So già cosa vogliono loro. E so anche quello che vuole lui." Mi fermai. "Eventuali altre navi nelle vicinanze? Posso inviare un segnale di soccorso?"

    Guardando sullo schermo degli scanner, vidi che non vi erano altre navi nelle vicinanze. Ero sola. Nessuno mi sarebbe venuto in aiuto.

    Fissando lo schermo, con le mani nuovamente tra i capelli, mi chiesi perché le navi che mi inseguivano non avessero attivato i loro propulsori quantici per raggiungermi. Ma poi mi ricordai qualcosa dalla formazione ricevuta durante il corso di addestramento. I motori quantici permettono uno spostamento rapido tra punti lontani tra loro, ma erano inutilizzabili sulle brevi distanze. Così, anche loro, erano costretti ad utilizzare i propulsori di manovra.

    Continuai a fissare la luce lampeggiante. “Beh, se vogliono parlare con me. Questo è buon segno. Meglio che altri missili."

    Incrociai le braccia sul petto e strinsi, pensando a quando mio padre contrattava con i fornitori. Devo farli aspettare. Fai in modo che vogliano fare affari con te. Fiutano immediatamente se sei disperata.

    "No. Non ancora. Ho una carta in mano. Ancora non voglio giocarla."

    Quello che volevo era mangiare, e ora che mi trovavo fuori portata delle armi avevo un po' di tempo.

    Quando mi alzai, dovetti reggermi alla poltrona per evitare di crollare. Stavo morendo di fame. Il mio stomaco non reagiva più, era solo un dolore continuo, come se si fosse ridotto fino alle dimensioni di una noce. La mia bocca era così secca che la lingua continuava a rimanere attaccata al palato.

    Con le gambe tremanti, mi trasferii nella stanza dietro la cabina di guida e osservai brevemente con tristezza il mio zaino con la clip della videocamera pensando al mio MobiGlas irrimediabilmente perduto. Ma era un pensiero stupido. Ero felice di essere viva, per ora, e orgogliosa di avere superato due momenti critici.

    La luce sulla porta della sezione successiva della nave era rosso brillante.

    Mi ci volle un momento per capire che la luce rossa significava la perdita di pressurizzazione in quella sezione. Poi notai la targa Sezione Cinque sulla porta colore crema.

    "La cucina no...!"

    Mi lasciai cadere a terra e rimasi ferma un po', sola e in silenzio a fissare il perno centrale del tavolo. In realtà non fissavo nulla in particolare. Anche se fossi sopravvissuta agli Stardevils, probabilmente sarei morta di disidratazione prima di raggiungere Oya III. Ero già rimasta due giorni senza né cibo né acqua. Un mal di testa terribile mi pulsava attraverso il cranio e avevo crampi alle estremità. Solo l’adrenalina mi aveva sorretto attraverso le difficoltà, ma ora che era finita, mi sentivo uno straccio.

    Chiudendo gli occhi, mi lamentavo ad ogni respiro. "Non arrenderti. Non arrenderti. Non arrenderti."

    Ripetei il mantra per un po', ma non mi aiutava. Non riuscivo a trovare un motivo per muovermi.

    Sì, non mi sto arrendo, ma cosa diavolo poteva voler dire? Gli Stardevils mi avrebbero intercettato in un paio d'ore, ma prima di allora probabilmente sarei finita in coma li dove mi trovavo.

    Il pensiero di scrivere le mie ultime parole e di inviarle insieme ad un segnale di soccorso verso Oya III mi attraversò la mente. Ma non riuscivo a decidermi. Questo sarebbe stato arrendermi.

    "Non arrenderti. Non arrenderti, "sussurrai ancora un paio di volte.

    Mi sollevai dalla posizione fetale, "Ci deve essere cibo o acqua in questa sezione, giusto? Razioni di emergenza o qualcosa del genere?"

    Stare seduta mi provocò le vertigini ma non mi importava. Poi vidi i segni rossi sul pannello lungo la fiancata. La piccola immagine di un vassoio di cibo era come gli addobbi per il mio compleanno. Presto avrei mangiato.

    "Nave, ti amo!"

    In un primo momento, quando trovai il pannello, temetti di non avere gli strumenti per aprirlo, ma poi trovai la chiusura sul lato inferiore. Mi ricordo a malapena di come strappai la parte superiore della busta argentata d’acqua, ed era probabilmente stantia e tiepida, ma in quel momento la preferivo a qualunque bevanda avrei potuto trovare nel mio vecchio bar.

    Cercai di mangiare lentamente, sapendo che altrimenti avrei avuto i crampi, ma era difficile. Le barre di cibo erano piuttosto insipide, ma non importava. Il mio stomaco fece un paio di gorgoglii vittoriosi appena terminai di mangiare.

    Quando tornai alla cabina di pilotaggio, notai una nuova luce lampeggiante.

    "Non intendo parlare a Burnett, o agli Stardevils" mormorai con in bocca ancora la sensazione del cibo.

    Ma poi compresi che non era una richiesta di comunicazione, ma un messaggio. Che male poteva farmi ascoltarlo?

    Quasi svenni quando udii la voce di Dario provenire dai diffusori. Poi mi ricordai che era lui che mi aveva messo in questo pasticcio nascondendo i file rubati sul MobiGlas, che peraltro avevo ancora. Qualcosa che avevo dimenticato nel mio delirio. Nonostante tutto la sua voce mi costrinse ad un accenno di sorriso.

    "Ciao, Sorri. Sono Dario. Mi dispiace di averti infilato in questo pasticcio. E' colpa mia. Avrei dovuto sapere circa i nuovi sensori alla stazione di Oya. Sono stato poco attento ed ora il problema è ricaduto su di te. Sto monitorando la situazione di Burnett e degli Stardevils. Mi dispiace anche per lui. Mi sarei dovuto accorgere del problema visto che stava indagando su di me già da un po’ di tempo."

    Sembrava sinceramente dispiaciuto, ma mi sono ricordata che era un ladro e un mascalzone e io ero in questo pasticcio per causa sua. Ma almeno aveva avuto la decenza di chiedere scusa.

    "Ho fatto i calcoli necessari. Non ce la puoi fare fino alla stazione di Oya navigando solamente con la propulsione di manovra prima di essere intercettata. Ma c'è un altra possibilità."

    Il timbro della sua voce denotava una certa preoccupazione, come se non volesse continuare a parlare.

    "Sarà necessario riconfigurare il generatore principale. Sto inviando le specifiche e le indicazioni sul tuo MobiGlas. Bypassa i criteri di sicurezza se occorresse. Oh, e abbassa gli scudi a zero. Non ne hai più bisogno. O almeno, se tutto va bene non ne avrai."

    Il MobiGlas che avevo in tasca emise un ping.

    "E, infine, anche spremendo tutta la potenza disponibile non sarà sufficiente ad arrivare alla stazione di Oya prima di essere catturata. Devi dirigerti al Jump Point che ti stò indicando, è più vicino". Fece una pausa. "E, per quanto ne so, non ti conviene inviare eventuali richieste di soccorso. Data l’ID della nave di Burnett, l'UEE ti vaporizzerà prima che tu riesca a comunicare con loro. Buona fortuna, e mi dispiace, Sorri. "

    I file promessi arrivarono sul MobiGlas che emise un nuovo ping, ma io non lo toccai. Osservai il dispositivo come se fosse infetto. Stava cercando di darmi una via d'uscita, come sosteneva, o stava semplicemente guidandomi verso una trappola dove mi sarei trovata completamente indifesa? In qualunque caso avrei dovuto prendere una decisione immediata.

    Continua.

    [NdT: nel testo sono presenti diversi giochi di parole divertenti ma intraducibili basati sull’assonanza tra Sorri (il nome della protagonista) e sorry (mi dispiace), non potendo tradurli in modo efficace dico anch’io “sorry”…]
     
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  8. amberleelessedil
     
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    Parte 7

    Mio padre era il tipico proprietario di bar. Burbero, ma adorabile. Semplice, ma fieramente intelligente. Gli interessava fare profitto, ma non così tanto che i suoi clienti ci rimettessero.
    Una volta, quando un ricco uomo d'affari si perse e finì al Golden Horde, mio padre iniziò a parlare con lui. Posso ancora vederlo sporgersi contro il bancone, mentre pulisce i bicchieri con uno straccio, con una scintilla negli occhi.
    Ogni volta che il ricco cliente, un uomo proveniente da Terra con occhi potenziati luminosi per un debole fosforo, prendeva anche solo un sorso della sua migliore vodka Centauriana, mio padre riempiva il resto del bicchiere con molti complimenti, non aggiungendo mai il drink al conto dell'uomo.
    Mio padre rideva alle battute dell'uomo d'affari, si strofinava il mento mentre l'uomo parlava a vanvera senza fine dei derivati socio-primari – un argomento di cui so che mio padre non sapeva nulla – e in generale ignorava tutti gli altri clienti del Golden Horde.
    Più tardi, quando chiesi a mio padre perché aveva puntato quel cliente e perché gli faceva pagare solo un quarto delle consumazioni, quando la bottiglia di vodka valeva venti volte una bottiglia normale, lui mi sorrideva con il suo brevettato sorriso "aspetta e vedrai" e tornava a pulire il bancone.
    Due mesi più tardi, arrivarono altri uomini d'affari vestiti in modo simile e spesero una piccola fortuna. Mentre stava facendo la somma delle ricevute della notte, mi fece l'occhiolino, e mi chiese se avevo imparato qualcosa.
    "Tutti vogliono qualcosa, anche quando sembra che non vogliano nulla."
    Dopo ciò fui arrabbiata con mio padre per circa una settimana. Ma ero giovane, e all'epoca le meccaniche degli affari non significavano veramente nulla per me – che qualunque affare ha un costo.
    Pensai a questa lezione mentre modificavo il motore in base alle istruzioni che mi aveva dato Dario. Anche se non sarei passata dal jump point, la velocità extra era preziosa e mi avrebbe dato più opzioni.
    La base della mia decisione era la seguente: o tutto l'affare dei files sul MobiGlas era fuori controllo e Dario stava cercando di eliminare la fonte del problema, oppure stava veramente cercando di recuperarli (e forse di aiutarmi nel farlo).
    Non mi illudevo che gli interessasse il mio benessere. Altrimenti, non mi avrebbe mai usata come corriere per contrabbandare i file attraverso la sicurezza della Stazione Oya.
    Mentre sedevo sul sedile del pilota con i piedi appoggiati sul pannello di controllo e succhiavo da una sacca di acqua e masticavo rumorosamente cibo da bar insapore, guardavo la piccola pallina blu e marrone ingrandirsi, mentre i punti rossi sullo schermo dei sensori lampeggiavano più vicini.
    Alla fine, decisi di passare il jump point come mi aveva detto Dario. In ogni caso, avrei fatto delle piccole modifiche al suo piano. Il jump point arrivava su Gurzil. Il protocollo standard era di entrare nel jump point ad una velocità ragionevolmente bassa per evitare collisioni con il traffico diretto all'interno o con le stazioni di controllo vicine.
    Invece, io lo avrei attraversato quasi alla massima velocità, con gli scudi al massimo, nel caso in cui Dario ci avesse ripensato sull'aiutarmi. Sapevo che il mio piano era basato sul caso e non si basava su alcuna reale conoscenza delle tecniche navali, ma odiavo avere fiducia nel destino senza fare nulla.
    Quando finalmente la Night Stalker si avvicinò al jump point, avevo finito tutto il cibo e l'acqua del kit di emergenza, mi ero ben riposata per una notte, ed ero assicurata al sedile del pilota con il mio zaino ai miei piedi.
    Sulla via verso il jump point, il computer provò per tre volte a farmi ridurre la velocità, ma io lo ignorai tutte le volte. Dopo un pauroso viaggio attraverso l'Interspazio, fuoriuscii dall'altra parte del salto e i miei scudi assorbirono immediatamente dei colpi violenti da parte di tre Avengers che mi rivolgevano contro i loro cannoni a distorsione....era stata una buona idea alzare al massimo gli scudi.
    Feci fare alla Night Stalker delle manovre di evasione, che in questo caso significava soltanto sbattere i comandi da una parte e dall'altra sperando per il meglio. Tutti gli allarmi sul pannello di controllo si spensero quando la fisica distorsionale [contortional physics] sollecitò ulteriormente le sezioni danneggiate della nave.
    In qualche modo, la voce di Dario uscì dagli altoparlanti della mia nave: "Arrenditi! Arrenditi!"
    "Di cosa diavolo stai parlando, mi stanno sparando!" urlai in risposta.
    "Sono tornati indietro, sono tornati indietro!" replicò.
    Sentivo il mio battito cardiaco rombarmi in testa, e mi ci volle un momento per trovare il pannello giusto, ma riuscii a vedere che le Avenger non erano più attive. Questo era positivo, ma la Night Stalker aveva subito ulteriori danni e il motore di manovra lavorava solo al quindici per cento. Per lo più stavo andando alla deriva.
    "Sto venendo a prenderti, Sorri," disse la voce di Dario, "prendi la tua roba e ferma completamente la nave così che possa allinearmi per attraccarmi a te."
    Guardando i visori, potevo vedere quella che immaginavo fosse la Fardancer. Sembrava una Freelancer pesantemente personalizzata, o qualche altre modello che non mi era familiare.
    Le due navi attraccarono e io mi diressi verso la camera d'equilibrio della nave di Dario. Egli mi accolse nei suoi alloggi, con una maglietta grigio chiaro con il colletto sbottonato e pantaloni comodi. Mi fece un sorriso, e i suoi occhi grigio-verdi brillarono verso di me.
    "Mi dispiace, Sorri."
    Notai un movimento in una gabbia vicina al tavolo.
    "Ehi, la lince!"
    "Sì."
    Incrociai le braccia. "Immagino tu voglia il MobiGlas."
    "Sarebbe d'aiuto."
    Glielo tirai, e lui lo afferrò al volo. "Grazie, questo rende le cose molto più facili. Ti posso riportare a casa più tardi, ma per ora ho un affare da concludere."
    Raggiunsi Dario nella cabina di pilotaggio, e sebbene dal punto di vista tecnico non fosse molto diversa da quella di Burnett, c'erano ovunque piccole differenze che mostravano la personalità di Dario. Appesi con delle corde al soffitto c'erano dei piccoli ciondoli: un osso primitivo intagliato, una vecchia moneta circolare Banu, un dardo da caccia Vanduul. I sedili del pilota avevano cuscini cuciti a mano al posto degli appoggi in duro metallo.
    "Allora Juliet," disse Dario alla nave, "qual'è la situazione?"
    Non appena spostò i report degli scanner sul display, immaginai che la nave rispondesse con una stridula voce di donna. I Silent Sons si sono posizionati in uno schieramento da fuoco. Non stanno aspettando pazientemente, caro.
    "Quelle Avengers, sono i Silent Sons?" chiesi. Dario rispose annuendo in modo assente. Incrociò la gamba sul ginocchio e tamburellò sul bracciolo. "Apri i canali di comunicazione con Pushkin, solo voce."
    Un uomo con la faccia da donnola, capelli neri e unti ed orecchie da pipistrello apparve sullo schermo.
    "Niente video, Dario? Non è da te."
    Dario ammiccò verso di me. "Non sono al mio meglio, oggi. Non vorrei esporti a certe mostruosità. Possiamo tornare agli affari? Abbiamo già sprecato troppo tempo."
    "Hai i disegni dell'arma?" chiese Pushkin, con un'espressione pensierosa.
    Dario alzò il MobiGlas, anche se non c'era il video. "Ce l'ho qui."
    "Allora sono pronto ad offrirti un terzo del prezzo che è stato già discusso," replicò Pushkin.
    Dario mise a terra tutti e due i piedi e si alzò. "Un terzo? Sei pazzo? Ci sono stati complicazioni e ritardi, sì, ma nulla che giustifichi sconti così massicci."
    Pushkin si sdraiò indietro sulla sedia e si mise le mani sotto alla testa. "Potremmo inattivare la tua nave, abbordarti e prenderci i progetti. Un terzo è una buona offerta."
    "Credevo che avessimo un accordo."
    Pushkin mostrò i denti. "Hai perso l'accordo. Abbiamo dovuto cambiare i piani e questo ha avuto un costo per i Silent Sons e ci ha esposto a richi. La prossima volta fai i tuoi compiti."
    Strofinandosi le tempie con le dita, Dario chiuse gli occhi e annuì. Sembrava che stesse per accettare i termini modificati, il che mi andava bene. Volevo solo mettermi al sicuro. E prima avessimo dato via i file, prima avremmo potuto andar via.
    Dario alzò le spalle in modo esitante verso di me e aprì la bocca quando un host degli allarmi di prossimità si spense. Pushkin sparì dallo schermo.
    All'improvviso, l'area intorno al jump point si riempì di navi. Navi degli Stardevil.
    E la parte peggiore era che la Fardancer era bloccata nel mezzo, tra lo schieramento dei Silent Sons e gli Stardevils.
    Il mio battito accelerò immediatamente, ma non andai realmente in panico fino a quando Dario non iniziò ad agitarsi in modo frenetico nel sedile del pilota, con i suoi capelli neri normalmente sudati sulla faccia mentre mormorava: "Non va bene, non va bene, non va bene."

    Continua...
     
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    Parte 8


    “Perché non ti muovi?" Mormorai quasi trattenendo il respiro, come se il minimo rumore potesse scatenare i fuochi artificiali tra le due bande di pirati.

    Dario batté sul pannello di controllo e una dopo l'altra, le letture apparvero e scomparvero sulla console. La mia domanda sembrava richiedere un momento per essere presa in considerazione. Dario si fermò con un dito in bilico su un semicerchio incandescente che pensai potesse essere l’indicatore di potenza degli scudi. Le sue sopracciglia si aggrottarono mentre mi guardava.

    "Mai visto un cane rabbioso per strada? Beh, siamo bloccati tra due dei più feroci, e una minima mossa li potrebbe scatenare".

    Aprii la bocca, ma fui interrotta dalla voce di Puskin proveniente dai diffusori. Percepivo il tono di voce del cane rabbioso.

    "Stai cercando di trasformarci tutti in fantasmi? Invitare gli Stardevils? So che ti sto chiedendo un accordo difficile, ma coinvolgerli è stata una mossa stupida. Più stupida di quanto pensavo fossi tu, Dario."

    Dario si guardò intorno nella cabina di guida prima di rispondere. “Non li ho invitati io, Pushkin".

    "E allora cosa fanno qui!"

    Dario si leccò le labbra. "Lascia che me ne occupi io."

    "Sarà meglio."

    Ebbi l'impressione che Dario non gli avesse detto che gli Stardevils erano sulle mie tracce. Questo spiegava perché volesse fare un rapido accordo, a parte un dettaglio che mi lasciava confusa.

    "Come hanno fatto ad arrivare così rapidamente?"

    Dario si dondolò avanti e indietro. "Potrebbero avere utilizzato la propulsione quantica, una volta che si sono resi conto che ti stavi dirigendo verso il Jump Point. Comunque sono qui e dobbiamo trattare anche con loro."

    Una luce rossa lampeggiante apparve sul pannello di controllo. Dario aggrottò la fronte. Gli Stardevils. Attivò le comunicazioni.

    La voce di Synthia: "Dario Oberon?"

    "Sono io", disse Dario, facendo una mezza alzata di spalle.

    "Hai qualcosa che mi appartiene", disse.

    Dario mi sorrise e la sua espressione era di non-posso-credere-a-ciò-che-sta-dicendo. "Hai un invito? Perché io certamente non te no ho dati. Questo è un incontro privato."

    Synthia emise un verso come se stesse sputando. "La tua piccola strega ha rubato qualcosa di mio."

    "Tutto è lecito in amore e pirateria. In realtà" Dario mi fece l'occhiolino, "lo abbiamo solo recuperato. Presumo che il vecchio coscia di tuono sia in agguato là dietro da qualche parte."

    Il commento sembrò confondere Synthia, cosa che credo fosse l’obiettivo di Dario. "Coscia di tuono?"

    “Il mio vecchio amico, Burnett. O te ne sei già liberata attraverso la camera di decompressione, come avrebbe fatto qualsiasi essere umano ragionevole?"

    “È qui”, ringhiò Synthia. "E vogliamo indietro anche i dati, e lei."

    Dario sollevò un sopracciglio mentre valutava la situazione e mi mostrò il pollice in su a indicare tutto ok. Il terrore di essere cancellata dall’esistenza non era completamente scomparso, ma riuscii a respirare di nuovo.

    “E perché dovrei farlo?" Chiese Dario.

    "Perché se non lo fai, apriremo il fuoco contro i Silent Sons, e sarete polvere nello spazio pochi secondi dopo."

    Il sorriso scomparve dalle labbra di Dario. “E perderai l’affare."

    “A volte si vince, a volte si perde. Come hai detto tu, tutto è lecito in amore e pirateria. Meglio che la gente sappia che non è bene interferire con noi piuttosto che partecipare ad un affare di del quale non sappiamo nulla. E poi, Burnett dice che può fare di meglio, che questo è solamente l’inizio e che può recuperare informazioni su un sistema d'arma che potrebbe farmi svenire".

    Mi sollevai in piedi e Dario allungò la mano verso lo schermo bloccando la comunicazione.

    "Sta mentendo," esclamai, non appena le comunicazioni furono off line.

    “Come fai a saperlo?" Chiese, arricciando il naso.

    "Lo so. Potrei dire..." dissi, era solo un sospetto dal breve tempo passato con lui.

    La mia tesi venne interrotta quando il pannello si accese di nuovo. Questa volta, era Pushkin dei Silent Sons.

    "Perché ci vuole così tanto tempo? Perché non si levano dai piedi? Non voglio che partano colpi accidentalmente. Facciamo l’affare e concludiamo. Mi sento generoso al trentotto per cento dell’accordo originale."

    Dario si massaggiò la nuca. Sapevo cosa stava pensando. Pensavo la stessa cosa. Se qualcuno avesse provato ad allontanarsi, Synthia e gli Stardevils avrebbero aperto il fuoco. Altrimenti avrebbe probabilmente concluso l’accordo, anche solo per mettersi fuori pericolo.

    "Sono praticamente andati via, Pushkin. Lasciatemi finire.” Rispose Dario, mentre la luce rossa di chiamata entrante lampeggiava di nuovo. "Sono sicuro che possiamo trovare un accordo".

    “È meglio che tu non perda tempo." Dario chiuse.

    "Sta mentendo”, sussurrai in fretta prima che Dario rispondesse agli Stardevils.

    "Che ne dici," cominciò Dario chiacchierando amichevolmente "ti vendo una copia dei disegni dell’arma alla metà di quello che stavo per chiedere ai Silent Sons."

    Inghiottii. Non potevo credere che stesse negoziando in un momento del genere. E se avessero accettato avrebbe ottenuto più di quanto i Silent Sons erano disposti ad offrirgli ora.

    Synthia iniziò a farneticare, sputando imprecazioni più velocemente della rotazione di una stella di neutroni. Dario silenziò la comunicazione e si voltò verso di me. "Perché pensi che stia mentendo? Dimmi. Dammi una ragione e io ti crederò."

    Inghiottii una seconda volta. Mi crederà? "Io ... ehm ... posso solo dire che lo so".

    Si piegò il collo in avanti e scosse lentamente la testa. "Ho bisogno di qualcosa di più. Non posso giocare senza carte".

    Premetti le dita contro le tempie e strinsi gli occhi, cercando di spremere una risposta fuori dal mio cervello.

    "Sta mentendo perché ...", la risposta esplose nella mia mente, "non ha altre attività in corso. Ha detto così. E la sua nave, era nuova, non personalizzata. La chiama ancora 'Nave' e non si è nemmeno preso la briga di attivare la serratura vocale. Anche quando ha afferrato il mio MobiGlas su Oya III, stava guidando uno scooter elettrico di tre taglie troppo piccolo. E 'come se avesse colto l’occasione di quello che stavi facendo tu, all'ultimo momento lasciando perdere tutto il resto. Nessuno lo farebbe avendo un buon affare in corso, giusto?"

    Le labbra di Dario si aprirono in un sorriso e lui allungò la mano e mi batté sulla gamba. "Questo è tutto ciò che dovevo sapere. Grazie."

    Riattivò la comunicazione. "Hai finito? Senti, ho cambiato idea. Io vendo a voi al settanta per cento, ma prima devi fare marcia indietro. Inverti i propulsori e metti una certa distanza tra voi e i Silent Sons."

    "Settanta? Sei pazzo? Allora prendo l'accordo con Burnett." rispose Synthia.

    "Non posso dire se sia tu o lui a mentire, ma lui non ha nulla in mano. In caso contrario, il mio vecchio amico non si sarebbe preso la briga impicciarsi dei i miei affari. E' a secco e disperato. Vuoi davvero accordarti con lui?

    "Allora, apriamo il fuoco e vediamo che effetto ti fa" ribatte Synthia.

    Il suo sorriso non vacillò mai mentre rispose "Non provarci neanche. Sì, potremmo trasformarci in polvere spaziale, ma tu avrai delle perdite, e le perdite non sono un buon affare. Tu sei intelligente, Synthia, non come Puskin e i Silent Sons. Stai giocando bene ma sei senza carte, non hai niente. Accetta l’offerta. Settantacinque per cento."

    "Settantacinque? Ti darò sessanta."

    "Sessantacinque?"

    "Bene," sputò Synthia. "Affare fatto. Ti mando i fondi non appena riceviamo la trasmissione."

    "Molto bene. Ma per ora, gusto per non iniziare una piccola guerra, propulsori indietro tutta per favore."

    "D'accordo."

    Poi Dario chiamò i Silent Sons, proprio mentre gli Stardevils cominciarono ad allontanarsi.

    "Le mie scuse, Pushkin", disse Dario. “Gli Stardevils non sono i pirati più intelligenti della galassia. Faticavano a comprendere quanto facilmente avresti potuto distruggerli fino a quando non glielo ho spiegato."

    "Hanno capito, eh?", disse Pushkin.

    “Vogliamo fare l'affare, allora? Cinquantacinque per cento?"

    Potevo quasi sentire Pushkin annuire. “Solo perché voglio liberarmi di questo posto. Questo spazio puzza di Stardevil. Quarantacinque ed è affare fatto."

    "D’accordo", concesse Dario, mentre mi strizzava l'occhio.

    Terminate le comunicazioni, e con i puntini rossi sullo schermo che si allontanavano, Dario allungò i piedi sul pannello di controllo e mise le mani dietro la testa.

    "C’è mancato poco, molto poco."

    Ero a bocca aperta. “Hai ottenuto il compenso originale e poi anche un extra."

    Sembrava pronto a darmi qualche risposta arguta quando gli allarmi di prossimità si attivarono nuovamente a tutto volume.

    "Grande. Che cosa abbiamo qui, un altra banda di pirati?"

    Dario commutò lo schermo attivando i visori esterni nel momento in cui le nuove navi uscirono dal Jump Point. Egli balzò in azione anche prima che notassi la sagoma di quella che era probabilmente era una Hornet militare.

    Il suo sguardo di pietra mi comunicò tutto quello che avevo bisogno di sapere su quanto tragica fosse la nuova situazione.

    Poi una Idris uscì dal Jump Point ed aprì il fuoco.


    Continua.
     
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  10. amberleelessedil
     
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    PARTE 9

    Migliaia di anni di letteratura e di olovideo hanno glorificato le meraviglie delle battaglie spaziali. So di essermi nutrita di questo da piccola, quando avevo otto anni e invece di dormire mi rannicchiavo sotto le coperte a guardare fasci luccicanti esplodere nell'oscurità del mio MobiGlas.
    Le due parti si sarebbero esibite in manovre complesse, girando e ondeggiando insieme in una danza punteggiata da esplosioni e motori brillanti. Gli eroi e i furfanti si sarebbero presi in giro l'un l'altro attraverso il freddo vuoto dello spazio come se stessero chiaccherando al tavolo di un bar bevendo un paio di birre.
    La mia battaglia spaziale non era nulla di tutto ciò.
    Se mi aveste ammassato in un asciugatore fuori misura, pieno di flash luminosi capaci di provocare un'emicrania, settato su un'ultracentrifuga e aveste quindi buttato tutto quanto da una montagna, avreste avuto un decimo di quello che provavo.
    La leggera gravità artificiale era diventata una forte accelerazione a causa delle manovre rapide. Un momento eravamo diretti dritti al lato dell'Idris, quello successivo un flash di luce bianco fosforo ci aveva accecati e pezzi di una nave esplosa rimbalzavano sui nostri scudi, scagliandoci in una direzione completamente diversa.
    Dario ci condusse attraverso la battaglia spaziale, cercando sempre una via di uscita, ma ogni volta i combattimenti ci circondavano e ci tagliavano la via di fuga.
    Un paio di volte pensai che i nostri macchinari fossero stati messi fuori gioco, ma in realtà era o il mio cuore che si era fermato o la mancanza di udito a causa dei colpi del combattimento.
    Che si fotta il tipo che ha detto che le battaglie spaziali sono dei silenziosi balletti di morte. Clacson [sic] suonavano, allarmi squillavano, avvisi di prossimità diventavano sempre più fiochi a causa dell'uso eccessivo.
    Alla fine, Dario ci gettò attraverso un brutto duello tra una Avenger dei Silent Son e due Hornet UEE, e riuscimmo a trovare un piccolo spazio vuoto, tirando insieme un respiro di sollievo.
    "Stai bene, Sorri?" mi chiese, mentre controllava i quadri degli strumenti e i rapporti dei danni.
    "Credo di sì," dissi, con una voce inaspettatamente fioca, ma immagino che avessi gridato per tutto il tempo.
    Nonostante l'aria fredda, la fronte di Dario era zuppa di sudore. Si asciugò il viso con la spalla e batté su uno schermo di fronte a me, il quale mostrò babordo e tribordo della Fardancer.
    "Non ne siamo ancora fuori. Dobbiamo tornare indietro al jump point e scappare di nuovo verso Oya. Altrimenti, quelle navi della UEE ci daranno la caccia dopo la battaglia. Dimmi se vedi qualcuno che ci sta sparando addosso, e aggiusta gli scudi per compensare. Devi solo toccare su quel pannello per dare potenza ad un lato o all'altro."
    Sotto di noi potevo vedere una palla crescente di esplosioni e detriti.
    "Ci farai volare attraverso quello?" chiesi.
    Il suo solito sorriso tagliente come un rasoio era stato appannato dagli eventi. "Meglio che passare una vita in una prigione UEE."
    Unii i palmi delle mani e li misi contro le labbra. "Okay, lo posso fare." Allora Dario disse, "Bene, andiamo."
    Mi piegai in avanti, appoggiando le mani sul display degli scudi, mentre controllavo da vicino le immagini del doppio schermo. Dario ci fece tuffare di nuovo nel vortice di navi, provocandomi un momento di vertigine quando la coda mozza di una Freelancer distrutta balzò all'indietro, mancando di poco la Fardancer.
    Il nostro rientro nel combattimento portò ad una risposta immediata, quando due navi della UEE si staccarono per ingaggiarci. Regolai la potenza a babordo quando dei piccoli fuochi scintillarono attraverso i nostri scudi.
    Dario ci lanciò in un avvitamento, la qual cosa scagliò via il mio collo mentre cercavo di tenere sott'occhio gli schermi e di tenere le mie dita sugli scudi, facendole danzare tra babordo e tribordo man mano che ci avvitavamo. Quando ne uscimmo, dovetti spostare quasi tutta la potenza a babordo mentre ci allontanavamo sbandando da una nave degli Stardevil.
    Inghiottendo lo stomaco, le mie speranze di fuga svanirono quando vidi una fregata Idris scendere su di noi. Anche io sapevo che i nostri scudi non erano in grado di deflettere il tipo di danno che poteva infliggere.
    Non appena gli allarmi della Fardancer iniziarono ad urlare, avvisandoci della morte imminente, scivolammo nell'Interspazio.
    Rincuorata dalla nostra fuga per il rotto della cuffia, mi buttai indietro sul sedile, mentre Dario dava istruzioni alla Fardancer. Quando ebbe finito, rimanemmo entrambi in silenzio e fissammo gli schermi vuoti fino a che non lasciammo l'Interspazio.
    Tornati al sistema Oya, Dario aggiustò la rotta in modo da portarci in orbita intorno a III e si girò verso di me. Le sue sopracciglia portavano un peso enorme e non voluto, mentre si strizzava le mani avvinghiate. I suoi occhi grigio-verdi erano lucidi e mi guardava a stento.
    Io mi restrinsi nel mio sedile temendo quello che stava per dire.
    "Mi dispiace, Sorri."
    Mi tirai ancora più indietro. "Ti...dispiace?"
    Sospirò. "Avrei potuto salvarti prima che raggiungessi il jump point, e avrei potuto riportarti su Oya III, ma non volevo perdere la mia occasione con i Silent Son."
    "Il tuo accordo ormai è andato, no?"
    Accartocciò parte del suo viso ed alzò l'altra spalla. "Ci sono altri pacchi ed altri accordi. Non così remunerativi, ma saranno molto più semplici."
    "Perché me lo stai dicendo?"
    "Sei una ragazza, o una giovane donna, intelligente, direi. Dillo tu a me."
    Arricciai le labbra e la risposta venne direttamente con la voce di mio padre: Tutti vogliono qualcosa, anche quando sembra che non lo vogliano.
    "Tu vuoi che io tenga la bocca chiusa," dissi.
    "Sapevo che eri intelligente; va avanti."
    Annuii. "Non sarà facile. La UEE potrebbe cercarmi. E loro potrebbero voler sapere che cosa è successo."
    "E la UEE può essere molto persuasiva quando vuole," aggiunse lui, appoggiandosi indietro. "Ma ho un'altra opzione per te. Hai mai sentito il detto "due teste sono meglio di una"? Beh, lo spazio è piuttosto noioso da percorrere da solo e mi potrebbe essere utile un socio svelto a pensare."
    "Socio?"
    Lui sogghignò. "Beh, socio junior, ma ben remunerato. Faresti molto più di quello che potresti fare come corriere, e allo stesso tempo vedresti l'impero."
    Le parole mi si fermarono in gola. Da corriere a criminale in una sola settimana? Sarebbe stato da ridere, se non fosse stato vero. O, comunque, una possibilità.
    Dario mi mise una mano sulla spalla. "Non ti dirò bugie, non è una vita facile. Ma non potrei pensare di fare altro. Ho il presentimento che tu la pensi allo stesso modo, anche se potresti essere un po' confusa subito dopo l'ultima piccola zuffa."
    "Confusa?" esplosi. "Sono stata usata, derubata, e rapita, e torturata, per non dire che sono quasi morta di fame e immolata. Quella battaglia, se dodici gatti rabbiosi caduti in un barile contano come qualcosa di così organizzato come una battaglia, probabilmente mi ha lasciato danni alle vertebre e l'ulcera per lo spavento."
    Il suo sorriso si spense mentre ritirava la mano dalla mia spalla. Appoggiai le nocche sugli occhi chiusi e me li strofinai, per non fargli vedere le lacrime che si erano formate. Come un uccellino, avevo il cuore che mi svolazzava nel petto e se fossimo stati su un pianeta, sarei uscita per respirare.
    "Ma in tutta onestà, qualcosa laggiù mi è piaciuta," aggiunsi, con stupore di Dario.
    "Quindi ci penserai su?"
    Mi strofinai le labbra. "Non so dirti se sono onorata o terrorizzata dal fatto che tu mi abbia chiesto di unirmi a te, e una gran parte di me vuole unirsi al tuo equipaggio sulla Fardancer."
    I suoi occhi si strinsero e fece un piccolo cenno come se sapesse già cosa stavo per dire.
    "Ma," iniziai, "ho firmato per essere un corriere e voglio fare quello, almeno per un po'. Forse tra qualche anno, se ne avrò ancora voglia, potrei unirmi a te, qualora tu fossi ancora interessato."
    "Nella mia vita due anni sono molto tempo. Non posso prometterti nulla."
    Alzai le spalle. "Non credo. Immagino quindi che la mia risposta sia no. Ma non preoccuparti che io parli. Non lo farò."
    Sario batté sul pannello di controllo. "Farò del mio meglio per portarti sul pianeta senza essere visti."
    Dopo di ciò, non parlammo molto. Era come se sapessimo entrambe che era meglio così. Io non volevo affezionarmi troppo in caso venissi catturata dalla UEE. Per quel che riguarda Dario? Non so cosa stesse pensando, ma rimaneva concentrato sul riportarmi a Nuova Alessandria.
    Mi aspettavo un arrivederci con le lacrime, ma Dario tornò su non appena me ne andai, dandomi a mala pena il tempo di togliere i propulsori prima che salisse. Per lo meno mi aveva dato un po' di crediti per ritornare in città.
    Una mezz'ora dopo che mi aveva lasciata, arrivò un hovercraft della UEE. Pensai che potesse essere un amichevole agente che si era fermato per controllare una turista che si era perduta, fino a che la porta si aprì e vidi il capitano Hennessy restituirmi lo sguardo, con le borse sotto agli occhi che le disegnavano dei cerchi scuri. Lei uscì e mi afferrò il polso prima che potessi dire "salve".
    "Come agente della UEE, ti dichiaro in arresto per crimini contro l'Impero."

    Continua....
     
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  11. amberleelessedil
     
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    PARTE 10

    Non dirò che rimpiangevo di non aver accettato l'offerta di Dario Oberon, ma, mentre mi sedevo nella mia piccola cella di metallo con un gabinetto lercio come unico compagno, l'idea mi passò per la mente.
    Aspetto piacevole ed elegante. C'era.
    Sorriso da furfante. C'era.
    Riflessi particolarmente pronti. C'erano.
    Per non parlare della sua nave personale e di fondi sufficienti a mantenere il suo stile di vita da ladro vagabondo.
    Nel mio intimo, sapevo che quella non era vita per me, almeno a questo punto della mia vita, ma era un'alternativa migliore della prigione.
    Il rimpianto non era la parte peggiore. La parte peggiore sarebbe stato dirlo a mio padre. Mi strinsi nel maglione di lana del colore del tramonto che mi era stato molto utile nel corso della mia avventura, cercando di riscaldarmi anche se non avevo realmente freddo.
    Anche se fossi venuta fuori da tutto questo, non mi avrebbe mai perdonata. Ero il suo ultimo legame con Mamma. Sapevo che avrebbe pensato che avevo in qualche modo macchiato la sua memoria.
    Quando la guardia mi portò di nuovo nella stanza degli interrogatori, caddi a sedere sulla sedia, con le mani unite davanti a me come se stessi pregando.
    Un po' più tardi, il capitano Hennessy entrò e si sedette sulla sedia di fronte alla mia.
    "Pensavo di aver detto che non volevo vederti più," disse il capitano, "ma eccoci qua. Non solo, ma quello che è successo nel sistema Oya e intorno al jump point di Gurzil implica che non avrò un fine settimana libero per i prossimi sei mesi, per non parlare del richiamo ufficiale che ho ricevuto per averti lasciata andare alla stazione Oya. Sono fortunata a non essere stata degradata di qualche grado."
    "Mi dispiace, Capitano Hennessy. Mi dispiace davvero. Ma ho già detto a tutti tutto quello che so. Sono proprio confusa su tutta la faccenda."
    Il Capitano Hennessy unì le dita delle mani. "Mi dispiace ma non è sufficiente. Ci dovrai dare qualcosa. Tutto quello che abbiamo, a parte pirati morti, è un piccolo corriere che non dirà nulla. Quando accadono queste cose, qualcuno viene sempre punito. Se tu sei tutto quello che abbiamo, allora..."
    Il capitano lasciò che la minaccia aleggiasse come un nodo scorsoio.
    "Ma non ho fatto nulla di male," dissi. "Quando quel tipo, Burnett, mi ha rubato il MobiGlas, ho pensato che fosse un criminale, o che forse la società mi stesse mettendo alla prova. Non pensavo che sarei stata rapita nello spazio e gettata nel mezzo di una guerra tra pirati."
    Mi nascosi il viso tra le mani e tirai su col naso. Non stavo recitando. Le lacrime erano vere così come la mia stanchezza. Avevo raccontato la storia ad agenti diversi almeno venti volte, forse di più. Ogni volta, avevano fatto domande sui dettagli.
    Chi era il capobanda? Dove erano finiti i files? Di che tipo di armi trattavano? Chi li aveva rubati? Era stato un lavoro fatto dall'interno? Sai a quale società sono stati presi?
    Avevo raccontato loro tutto quello che mi era successo, ad eccezione del coinvolgimento di Dario. Non avevano ancora messo insieme i pezzi e capito che era stato lui a mettere i files sul mio MobiGlas. Erano convinti che i files ci fossero stati messi al quartier generale della FTL su Castra II.
    "Prima o poi vuoi diventare un Cittadino, vero?" chiese il capitano Hennessy.
    Il mio stomaco divenne di pietra. Annuii.
    "Allora dacci qualcosa. Qualcosa su cui possiamo lavorare. Chi pensi che possa aver contrabbandato i files sul tuo sistema alla FTL? Il tuo supervisore? Qualcun altro? Dacci solo qualcosa. O dovremo incriminarti per aver aiutato un contrabbandiere, e questo distruggerà ogni possibilità di ottenere la cittadinanza, per non parlare del tempo che passerai in prigione."
    Mi strofinai le tempie. Se avessi detto loro di Dario, mi sarei rimangiata la parola, e chi poteva sapere se era il tipo di criminale che avrebbe punito un'indiscrezione. Se avessi mentito e avessi fatto un nome della FTL, allora avrei potuto dire addio a quel lavoro e a qualsiasi altro simile. Per non dire che sarei stata senza mezzi termini una bugiarda.
    "Che mi dice di Burnett?" chiesi. "E' lui che mi ha rapita. Questo non le è utile?"
    Il capitano Hennessy si guardò le mani giunte e sospirò. "Non abbiamo evidenze di questo Burnett nella battaglia, o sul pianeta. O da qualsiasi altra parte. A questo punto, siamo convinti che te lo sei inventato, per proteggere il vero colpevole che ti ha promesso di pagarti in cambio del silenzio. Dicci chi ti ha riportato indietro sul pianeta, correndo un grosso rischio, e potremo prendere in considerazione un po' di clemenza. Un po'."
    Sbattei le mani sul tavolo. "Ma io non lo conosco e lui non mi ha detto il suo nome. Ho già dato la sua descrizione. Per quel che ne so, potrebbe essere uno dei pirati. E' semplicemente successo che sia stato lui a prelevarmi dalla Night Stalker dopo che sono uscita dal jump point."
    Il capitano Hennessy serrò la mascella e strinse ancora di più le mani. "Tutte le spiegazioni e le scuse del mondo non ti aiuteranno. Ho bisogno di informazioni. Informazioni credibili, o rimarrai bruciata da tutto questo. Mi dispiace, ma le cose stanno così."
    Se ne andò e le guardie mi riportarono in cella. Scivolai lungo il muro fino a che non mi sedetti. Un torpore si diffuse dal mio viso giù lungo il petto e invase il mio corpo come un morbo. Avrebbero potuto prendermi a schiaffi e non avrei reagito.
    Non ero sicura del perché fosse così difficile. Avrei dovuto consegnargli Dario e semplicemente sarei stata libera. Era stato lui a mettermi in questa situazione. Perché lo stavo proteggendo?
    Mio padre avrebbe dato la colpa agli ormoni. Senza Mamma intorno a correggerlo, imputava tutto quello che facevo ai miei ormoni, per la qual cosa immagino dovrei essergli grata. Non mi ha mai picchiata, ma potrebbe far sentire colpevole un prete con il suo sguardo corrucciato.
    Mi strinsi le ginocchia al petto e vi seppellii il viso. Non so perché stavo prendendo tempo. Alla fine avrei dovuto denunciare Dario. Meglio farlo adesso mentre erano ancora disposti ad offrire un accordo. Probabilmente avrei perso il mio lavoro e la fiducia di mio padre, ma lameno non sarei stata schedata come una criminale, o non avrei passato del tempo in prigione.
    A malincuore, sbattei il pugno sulla porta e chiesi ad una guardia di chiamare il capitano Hennessy. Dopo poco tempo, sedevo di nuovo nella stessa cella per gli interrogatori.
    Il capitano arrivò dopo circa dieci minuti. Si sedette e strinse le mani di fronte a lei, in attesa.
    Mi picchiettai il labbro inferiore. "Ha mai controllato la base dei pirati Stardevils? Forse c'è qualcuno lì?"
    L'unica risposta che ebbi fu un leggero scuotere della testa. Potevo vedere nei suoi occhi che, se non le avessi consegnato Dario immediatamente, si sarebbe alzata e avrebbe chiamato le guardie e io non mi sarei potuta aspettare altro che la prigione.
    "Okay, d'accordo," dissi. "Le darò quello che vuole. Il tizio doveva sapere qualcosa del mio viaggio con il servizio di corrieri FTL. E' così che sapeva..."
    La risposta mi colpì direttamente nel mezzo della fronte. Mi sentii stupida per non averla vista prima. Egli sapeva anche delle corse rattoppate [lead sled runs?], e che tipo di autorizzazione era necessaria per i files delle armi. Questo mi fece capire che probabilmente aveva una traccia su un'altra serie di dati.
    Di fronte a me, il capitano Hennessy stava tamburellando con le dita sul tavolo di duro acciaio. Sembrava sul punto di andarsene.
    "So dove può trovare Burnett," sbottai.
    "Non intendo tornare di nuovo su quell'argomento," disse il capitano, alzandosi dalla sedia.
    "No aspetti! So come sapeva dei files. Lavora per l'FTL. E' così che ha saputo che sarei passata dalla stazione Oya ed era là per rubarmi il MobiGlas! Per favore, controlli. E l'elettrociclo! Potrebbero avere delle registrazioni che confermano la descrizione che vi ho dato del tizio. Oppure i registri degli impiegati della FTL. Scommetto che è attraverso la FTL che ottiene i files da vendere ai pirati."
    Le parole uscirono così velocemente dalla mia bocca, che dovetti aspirare la saliva quando ebbi finito. Il capitano Hennessy si era bloccata a metà mentre si alzava. Qualcosa che avevo detto aveva fatto suonare un campanello e le sue sopracciglia si strinsero per un secondo.
    Alla fine, si raddrizzò. "Tu, rimani qui," disse, e se ne andò.
    Come se me ne potessi andare.
    Questa volta l'attesa sembrò interminabile. Per impedirmi di arrampicarmi sui muri, feci saltellare le gambe e tamburellai sul tavolo.
    Dopo dieci anni, o forse un ora più tardi, il capitano Hennessy ritornò. Teneva il suo MobiGlas in mano e sembrava sorpresa dalle informazioni che conteneva.
    "Il tuo suggerimento è stato verificato," disse il capitano. "Dopo che la società ha identificato il tizio della tua descrizione e ha iniziato ad indagare, ha iniziato a trovare irregolarità nel suo accesso. E' un membro della divisione della sicurezza, il che spiega come ha ottenuto l'accesso a files come quelli dei dati sulle armi. Non sappiamo con sicurezza che tipo di files stava vendendo, ma è provato che li ha ottenuti attraverso la FTL."
    "Questo significa che sono libera di andarmene?", chiesi.
    Il modo in cui gli angoli delle sue labbra si incurvarono verso il basso mi pietrificò le viscere. "In realtà no. Dobbiamo dare seguito ad un po' di cose riguardo a questo Burnett prima di lasciarti andare. Ma mentre aspetti, c'è una cosa che devi fare prima che ti lasci andare via."
    Il mio cuore sobbalzò mentre il capitano Hennessy se ne andava senza dirmi nulla. Il suo sguardo di biasimo annodò i miei sentimenti.
    "Cosa può essere, per lo spazio?"

    Continua.....
     
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    Parte 11

    Quando la porta si aprì, portando con sé le chiacchiere di un paio di agenti che passavano accanto, mi aspettavo che fosse il capitano Hennessy. Se mi aveste chiesto di indovinare l’ospite in visita non ci sarei mai riuscita. Nemmeno se avessi avuto tempo fino alla morte termica dell'Universo.

    Nei miei 20 anni di vita nell'Impero, mio padre non aveva mai lasciato il suo bar, il Golden Horde. Prima d’ora.

    Osservandolo non riuscivo a capacitarmi di quanto fossero visibili gli anni che aveva. E i piccoli ciuffi di peli nelle orecchie che la mamma gli faceva regolarmente tagliare erano fuori controllo.

    Ma ciò che mi sorprese di più era il suo volto. Mi aspettavo la rabbia, o uno dei suoi tipici sguardi torvi, ma non la calma glaciale.

    I suoi occhi avevano quella caratteristica che mi ricordavo dal funerale della mamma: vitrei e distanti, come se qualsiasi emozione forte che avesse avuto in precedenza fosse stata annegata dal dolore e trasformata in fango.

    Rimase in piedi con la mano appoggiata alla sedia. Raramente lo avevo visto senza uno straccio o una tazza in mano. Era quasi come se non sapesse come comportarsi, quasi si ritraesse ogni volta che toccava lo schienale della sedia.

    “Sorri,” disse.

    “Mi dispiace…”

    I suoi occhi stretti di rabbia. “Non è sufficiente aver dovuto perdere tua madre? Il capitano Hennessy mi ha detto che stavi proteggendo quel ladro, chiunque fosse, che ti ha messo in questo pasticcio."

    Allargai le mani sul tavolo per avere maggiore stabilità. "Giuro che non lo stavo facendo. Non sapevo cosa stava succedendo per la maggior parte del tempo."

    Il suo sguardo mi perforò. Era sempre stato abile a fiutare le mie bugie.

    "Sorri Abigail Lyrax. Non è mai accaduto che tu non sapessi perfettamente cosa stava succedendo. Hai usato le stesse scuse quando stavi con quella banda. Sei una ragazza intelligente, più intelligente anche di tua madre, e lei avrebbe potuto... "Il suo volto si contorse mentre riaffioravano ricordi e sentimenti," ... avrebbe potuto fare quello che voleva, proprio come te".

    Il mio cuore era dilaniato fino a quasi a rompersi. Ma mentre stavo seduta lì, avvolta dal contraccolpo emotivo, le mie mani, allargate sul tavolo, lentamente si trasformarono in pugni. Li strinsi fino a quando le nocche furono bianche e il mio viso rosso.

    “È morta, papà. Morta e andata. Devo vivere la mia vita adesso. Fare i miei errori. Non posso trattare la sua memoria come un fragile vaso di vetro. E lei non era perfetta come tu la vorresti far essere. Era incasinata come noi due. Semplicemente lo faceva apparire migliore".

    Mi asciugai il naso con la manica di lana lunga e sospirai. "Sì, tutta questa esperienza è stata un disastro. Una brutta cosa portava all'altra fino a quando mi sono trovata a rimbalzare attraverso lo spazio sperando di non essere trasformata in frammenti. Ma erano scelte che dovevo fare e le ho fatte, le mie. Penso anche di aver fatto dannatamente bene considerando le circostanze. Avresti dovuto vedere, papà, avresti dovuto vedermi."

    Strinse le labbra e prese la sedia con le grosse mani da barista. Non riusciva a guardarmi, tenne lo sguardo sul tavolo in acciaio inox.

    Quando finalmente sollevò lo sguardo, rimanemmo a guardarci per un bel po' di tempo. Poi lasciò cadere la sedia e uscì dalla stanza.

    Vorrei poter dire che eravamo arrivati ad un accordo silenzioso in quel momento. Che ci eravamo riconciliati tra padre e figlia senza dire parole. Ma, come tutto il resto, non era così facile.

    Sapevo che a lui sarebbe stato necessario un lungo periodo di tempo per perdonarmi di quello che era successo. In realtà poteva anche non perdonarmi mai, per quanto ne sapevo. Ma andava bene così. Probabilmente riuscivo a perdonare me stessa.

    Avevo passato il mio tempo all'inizio del viaggio preoccupata per ciò che lui avrebbe pensato delle mie scelte, registrando gli eventi in modo che potesse vedere che in fondo era tutto normale. Ma questo in realtà non era per lui, era per me. In qualche modo, quello che dimostravo a lui, lo dimostravo a me stessa.

    Ma in fondo non avevo bisogno, dopo tutto.

    Il capitano Hennessy entrò dalla porta con uno sguardo interrogativo sul suo viso. I suoi lineamenti si erano ammorbiditi.

    “Come è andata?”

    La sua preoccupazione mi sorprese finché non mi ricordai la nostra conversazione la prima volta su Oya. Avevo brevemente accennato alle difficoltà con mio padre intuendo che anche lei aveva avuto i suoi problemi. Doveva essere stata lei a contattarlo.

    "Lui non ha capito”, dissi, scuotendo la testa, ottenendo in risposta un basso sospiro. "Ma forse ha un po’ più senso per me."

    Il capitano Hennessy mi fece un cenno d'intesa.

    “Be', sarai liberata su cauzione domani, mentre mettiamo a posto il resto di questo caso." Disse con un sorriso riluttante. "Solo formalità, spero."

    “Chi ha pagato la cauzione?”

    "FTL." Il capitano estrasse dalla tasca una stampa. "Qui, è possibile leggere il messaggio che hanno inviato."

    Afferrai il foglio con entrambe le mani e lessi il messaggio. Dovetti leggerlo tre volte solo per essere sicura. Mi girava la testa, con il tempo capii.

    “Congratulazioni”, disse il capitano. “L'ho letto quando è arrivato. Occupazione a tempo pieno già dopo la prima consegna. Questa è una vera impresa. "

    "Ma non sono nemmeno riuscita a farla la mia consegna."

    Lei si strinse nelle spalle. "Come hanno detto, ha tentato di recuperare il MobiGlas a rischio della vita, e non ha mai dato informazioni aziendali. Alla fine li ha aiutati a individuare una falla nel loro sistema di sicurezza."

    "Non so cosa dire."

    “Be ', avrai il viaggio di ritorno a Castra per deciderlo."

    Il giorno dopo, il capitano Hennessy mi portò fuori dalla stazione e mi porse il voucher della FTL per il mio viaggio di ritorno.

    "Mi dispiace per tuo padre", disse prima della partenza.

    “Mi dispiace per la tua vacanza,” risposi.

    Si strinse nelle spalle. "Niente funziona del tutto come previsto."

    Ci separammo e presi un taxi hover per il porto di New Alexandria. Il viaggio per arrivare alla nave che mi avrebbe portato a Castra non sembrò richiedere lo stesso tempo della prima volta.

    Ero seduta nella Solar Jammer agganciando l’imbragatura. Il mio entusiasmo di trovarmi di nuovo nello spazio era stato temperato dagli eventi della scorsa settimana, il che andava bene per me. Non vedevo l'ora di riposare tranquilla. Mi piaceva pensare che me lo ero guadagnato.

    Mi stavo ambientando nel mio sedile, tirando le maniche del maglione di lana sopra le mani per mantenermi al caldo, quando il commissario entrò nella cabina portando una bagaglio familiare. Mi sollevai immediatamente e cominciai a guardarmi intorno per trovare Dario.

    Ma poi lo steward si fermò alla mia fila e appoggiò il bagaglio per il trasporto animali sul sedile vuoto accanto a me.

    "Il suo animale domestico, signora, mi dispiace per il ritardo" disse, prima di tornare lungo il corridoio.

    Grandi occhi dorati guardavano fuori dalla gabbia, sbloccai la porta e lasciai che la lince mi salisse in grembo. I suoi piccoli pugni sepolti nel maglione di lana. Come spinse il suo volto peloso contro il mio mento, una scatola dentro la gabbia attirò la mia attenzione.

    La tirai fuori. Una breve nota su di essa diceva: "Per Sorri."

    Aprii la scatola e vi trovai un MobiGlas nuovo di zecca. Lo controllai come se fossi in grado di rilevare eventuali file nascosti prima di metterlo in tasca. Poi aprii il biglietto che lo accompagnava.

    "Grazie per l'avventura. Spero che potremo ripeterla in futuro. Sai come entrare in contatto con me se mai ne avessi bisogno. Il tuo amico. -D".

    Un rapido controllo sul MobiGlas rivelò un piccolo programma con un grande pulsante rosso con la dicitura "Avventure" Sorrisi e spedii il programma in fondo agli elenchi. Non volevo attivarlo accidentalmente. Per ora.

    Come la Solar Jammer si allontanò dalla stazione di Oya, la lince dalla coda rossa si rannicchiò nel mio maglione di lana e avvolse la sua coda attorno al mio braccio. Appoggiai la testa contro il sedile imbottito e sospirai, lasciando che l'esaurimento della scorsa settimana rivendicasse la mia coscienza. Come le palpebre chiuse, un ultimo pensiero attraversò la mia mente:

    "Penso che la chiamerò Abby, come mia madre."

    Fine.


    L’autore.

    Thomas K. Carpenter scrive in diversi generi, tra cui: YA distopia, post-cyberpunk, fantascienza, steampunk, dark fantasy, realtà alternative e mistero storico. La sua ultima serie, la Saga Alessandrina, ha raccolto recensioni entusiastiche da parte di lettori e critici. I suoi romanzi, audiolibri e racconti best-seller si possono trovare in tutti i principali rivenditori online. Vive a St. Louis con la moglie, due figli e un labrador. Potete incontrarlo online su www.thomaskcarpenter.com.
     
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